Quasi niente

Data / Ora
06 Maggio 2018 - 20 Maggio 2018

Categoria



residenza creativa per la ricerca e la produzione del nuovo spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

“Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra più fedele alla realtà, e sotto quest’altra un’altra ancora, e di nuovo un’altra sotto quest’ultima. Fino alla vera immagine di quella realtà, assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai. O forse fino alla scomposizione di qualsiasi immagine, di qualsiasi realtà”.
Michelangelo Antonioni

Quasi niente. Oggetto di partenza del nostro nuovo progetto è Il deserto rosso, lo straordinario film del 1964, prima opera a colori di Michelangelo Antonioni, che a partire – sembra – da un breve racconto di Tonino Guerra vede in scena una straziante e fanciullesca Monica Vitti. Giuliana, moglie e madre, attraversa il deserto – in una scena davvero rosso – della sua vita senza che nessuno possa realmente toccarla, senza toccare davvero nessuno. Nemmeno l’incontro con Corrado, amico del marito, per tanti versi simile a lei, riesce a cambiare le cose. Poche le parole, alcune talmente belle da diventare proverbiali (“Mi fanno male i capelli”, la più nota, presa in prestito dalla poetessa Amelia Rosselli) e protagonista assoluto il paesaggio, una Romagna attorno a Ravenna trasfigurata dal regista (“ho dipinto la realtà” ha dichiarato all’epoca) in un mondo la cui malattia è anche la sua bellezza, in un cortocircuito di senso e di sensi che ancora oggi ci sbalordisce. Un oggetto ingombrante, visto, discusso, sviscerato, a differenza di Janina Turek, la protagonista del nostro lavoro del 2012, Reality e delle pensionate greche prese in prestito da Petros Markaris che abbiamo abitato in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni del 2013, entrambi oggetti di cui pochi o nessuno si era occupato. Il deserto rosso è invece uno dei film centrali – hanno scritto – non solo del cinema italiano e internazionale ma delle arti visive del Novecento.

La scelta è quella di essere cinque in scena, tre donne, due uomini. Prima di tutto per evitare il triangolo borghese, moglie-marito-amante, per avere la possibilità di lavorare liberamente attorno alla figura di Giuliana e infine per rispondere alla tensione anti-realistica del film. Infatti, se questa opera ci ha toccato è anche perché il film non è la sua trama e questo ci corrisponde. Da sempre nei nostri lavori siamo attratti da figure marginali, dimesse (quelle lucciole fisiche e di pensiero così ben descritte da Georges Didi-Huberman), abbiamo raccontato casalinghe e pensionate, ci siamo descritti nelle loro cadute e fallimenti. Figure apparentemente lontane da Antonioni e dalle sue ambientazioni medio borghesi. In realtà Giuliana è assolutamente parte di questa galleria di persone riuscite a metà, storte. È una ‘selvatica vestita elegante’, a suo modo una Kaspar Hauser. C’è qualcosa in lei che ci parla di una ricerca di verità che spesso, nella nostra sempre maggiore “capacità” di stare al mondo, abbiamo perso. Ci siamo adattati. Accomodati, abbiamo azzittito domande come quelle che si fa lei: “Ma cosa vogliono che faccia con i miei occhi? Cosa devo guardare?”. Il nostro vuole essere un lavoro non solo sul disagio, la fragilità, sulle crepe, ma anche sulla fanciullezza di questa donna, che il mondo non sembra più interessato ad ascoltare.

“C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cosa sia. E nessuno me lo dice” dice Giuliana.
Il deserto rosso si interroga in maniera personalissima su quel cambiamento epocale che tutti gli artisti del dopoguerra hanno sofferto e raccontato (definito alienazione per Antonioni, genocidio culturale per Pasolini). Quell’alienazione – termine non a caso desueto – ci appartiene talmente tanto da non avvertirla più. La cerniera tra dentro e fuori in quest’opera è talmente particolare, profonda che non possiamo che essere sollevati dal fatto che il film inizi durante uno sciopero, che lo sfondo sia lo sfruttamento di operai chiamati a sradicarsi, a lasciare la loro terra per lavorare. Questa osmosi tra questi due livelli del racconto in Antonioni non vuole essere risolutiva, ideologica, ma scava, intreccia, sposta, eccoci ancora al rapporto tra figura e sfondo. In questo senso è illuminante la scena sottilmente straziante tra l’operaio e Giuliana, che si sono conosciuti in clinica, che hanno sofferto un male simile, che si riconoscono.

Dove siamo ora?

Deflorian Tagliarini. Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, Iniziano a collaborare nel 2008 creando Rewind, omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch. Nel 2009 presentano un lavoro liberamente ispirato alla filosofia di Andy Warhol, from a to d and back again. E’ del 2011 l’installazione/performace czeczy/cose e del 2012 lo spettacolo Reality per il quale Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu 2012 come miglior attrice protagonista. Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni con la collaborazione artistica di Monica Piseddu e Valentino Villa vince il Premio Ubu 2014 come novità italiana o ricerca drammaturgica e nel 2016 il Premio della critica come miglior spettacolo straniero in Quebec, Canada. Tre dei loro testi sono raccolti nel volume Trilogia dell’invisibile (Titivillus 2014). Hanno creato due site specific Il posto (2014) per la Casa Museo Boschi Di Stefano a Milano e per il Teatro di Roma Quando non so cosa fare cosa faccio (2015). Nel 2016 presentano Il cielo non è un fondale, con la collaborazione di Francesco Alberici e Monica Demuru, il cui testo è pubblicato da Cue Press. Il loro prossimo progetto, liberamente ispirato al film di Michelangelo Antonioni Deserto Rosso, è previsto per l’autunno del 2018.

www.defloriantagliarini.eu

 


Prova aperta

20 Maggio 2018
ore: 18:00

L’arboreto – Teatro Dimora
Mondaino
Quasi niente

Deflorian Tagliarini
Prova aperta – ingresso libero

un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
liberamente ispirato al film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni


Sto caricando la mappa ....
Gli uomini sono strade...