progetto di accoglienza e residenza per creazioni coreografiche
promosso da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Teatro Petrella di Longiano
Diversamente da quanto comunicato alcuni giorni fa, con la presente informiamo che a seguito di verifiche di compatibilità tecnica e organizzativa, i due progetti artistici a cui sono stati assegnati i periodi di residenza creativa al Teatro Petrella di Longiano sono:
• 18 – 29 aprile – Random Title Goes Here | Selachimorpha (4) – Compagnia Stalker – Daniele Albanese
• 2 – 13 maggio – Artificious (non qui non ora) – Glen Çaçi
giugno 2025
Queste parole non sono le mie.
Sono le voci e i corpi del corso di alta formazione che abbiamo tenuto al Teatro Dimora.
Nascono come diario collettivo tenuto via whatsapp giornalmente, come riflessione, moltiplicazione e deposito delle esperienze svolte durante il giorno.
Ciascunə allievə si faceva carico di riportare i fatti in modo oggettivo e le esperienze in modo soggettivo affinché ogni giorno fosse raccontato diversamente. Inoltre era possibile scrivere e condividere altre riflessioni, poesie, domande.
Per tutelare il mistero e per alleggerire la mole di questi diari verranno riportate solo le riflessioni soggettive e alcuni momenti di quotidianità.
Le indicazioni di “spazio” e “tempo” sono sempre relative al momento in cui il diario viene scritto.
Che questa traccia possa farsi sentiero per avventurarsi nel percorso fatto assieme.
Francesca Pennini
Corso di Alta Formazione “I corpi e le voci della danza” edizione 2025.
Partecipanti: Chiara Andreoni, Elhaz, Sofia Gattamorta, Sara Gaboardi, Pauline Meta Giacobazzi, Barbara Lanzafame, Sabrina Minichiello, Francesca Pagnini, Jaciara’Rocha, Ilaria Linda Principe, G., Alessia Stradiotti, Marta Vergani.
lunedì 9 giugno 2025 – GIORNO 1
Tempo: 10/06/2025 ore 20.44
Spazio: panchina esterna del tavolo, fuori dalla cucina della casetta ad Arboreto.
Reporter: Sabrina
L’arrivo:
Sveglia alle ore 6.50, alzata dal letto alle 7.10, colazione, valigia fatta e disfatta 3 volte.
Preparazione della pasta per il pranzo e la cena di lunedì.
Uscita da casa per raggiungere la fermata del bus, Pauline dice che è in ritardo di mezz’ora, torno indietro per fare la pipì, tolgo dalla valigia un pantalone e una canottiera perché ho esagerato con i vestiti.
Riesco di casa e prendo l’autobus per andare in via Carrocci, sul retro della stazione di Bologna, lì incontro Barbara e Ilaria, chiacchieriamo e siamo emozionate per la residenza.
Arriva Pauline con la macchina per caricarci, esce e ci apre il baule per farci mettere dentro le valige, una signora in macchina si ferma accanto a noi e ci urla qualcosa, non capiamo se sia legato al parcheggio spartano di Pauline o alla sua maglietta che dice “Parlare è meglio di morire”.
Partiamo e in macchina chiacchieriamo di tante cose: cambiamento, politica, Palestina, voto, tartarughe, mare.
Arriviamo all’Aboreto alle 13 circa e scegliamo la stanza da 4, appoggiamo le nostre cose e andiamo in cucina a sistemare la spesa che ci siamo portate da casa (ci siamo organizzate che ognuna portava qualcosa).
Poco dopo di noi arriva la macchina di Marta che ha portato con sé G e Sara, poi arrivano Chiara con Francesca ed Elhaz, e Alessia.
Jaciara era arrivata per prima ma stava dormendo in camera.
Pranziamo veloce e alle 13.45 andiamo in teatro dove ci scattano le polaroid per le figurine dell’arboreto.
Alle 14.00 ci sediamo in cerchio e conosciamo il collettivo cinetico, si presentano Francesca, Carmine e Angelo, e ci spiegano brevemente il palinsesto della settimana.
—-
Tempo: 9 giugno 2025 ore 23.45
Spazio: letto
Reporter: Barbara
giorno 1:
foglia che esce dal corpo
il tempo è relativo
sono pronta, per dormire
—
Tempo: 9 giugno 2025 ore 21.12
Spazio: seduta sulla panca fuori dalla cucina con pauline alla mia sinistra ed insetti che sembrano zanzare ma non sono zanzare
Reporter: Chiara
penso:
quanto è bello sentire le cose dette bene e sentite vere
come si fa?
affondiamo nei divanetti rossi
martedì 10 giugno 2025 – GIORNO 2
Tempo: 10 giugno 2025 ore 9.15
Spazio: sentiero tra gli alberi
Reporter: Barbara
Giorno 2:

una pianta senza animale non è
un animale senza pianta non è
prodigio
micro e macro
rispondo agli stessi bisogni
la differenza
è materia e illusione
il segreto è custodito
ore 19.45
esterno del teatro seduta nella panca di legno
dalla voce di Chiara sento:
cercava di uscire dal palco
ma non trovava uscita
è tornata l’ha presa
aveva gli occhi
timer azionato
fine palco
era di spalle
mi teneva
in posa
e poi
è scappato via
—
Tempo: 10.06.2025 Ore 11.11pm
Spazio: dal divano-letto del mio van
Reporter: Alessia
Impressione sull’esercizio di oggi ‘funamboli’:
Dico di sì, cammino col cuore al guinzaglio che striscia per terra.
Mi sfugge, rotola e poi si ferma in bilico sul ciglio dell’ occhio del mondo.
Il tuo soffio lo butta giù dall’ emisfero sinistro.
E nuoto nel ventre
E urlo la vita.
Vedo nero
E tu, dove sei?
—
Aggiungo una nota scritta ieri (10.06.24), dopo la performance del mattino:
ora incerta, sotto al tiglio
Troppo denso, troppo intenso
Cerco respiro nei tuoi occhi
Vorrei solo lanciarmi senza esitare
Posso?
Chiedo.
Ma perché ti chiedo?
Se tu sei qui
E io sono qui
Non basta questo
Per toccarci fino in fondo
E respirare
Fuochi vicini
Attimi sottili
Di respiri incandescenti
Chi vedi dietro ai miei occhi?
Cosa sussurrano i tuoi?
Pauline
mercoledì 11 giugno – GIORNO 3
Tempo: Mercoledì 11 Giugno. 19:48.
Spazio: Panca fuori dalla casetta
Reporter: Sofia
Il teatro ha aperto alle 9:15, gradualmente siamo arrivate tutte, le prime a posizionarsi sui tappetini fuori dal teatro sotto al portico sono state Marta e G, e poi mi sono posizionata io (Sofia) ed è iniziata la meditazione, mi stavano beccando tante zanzare, e sentivo le persone aggiungersi piano piano, Francesca ha iniziato a guidare la meditazione, quando abbiamo aperto gli occhi ci ha detto di guardare la vita delle piante e captarla, poi ci ha detto di alzarci lentamente e di raccogliere le nostre cose con questo ritmo molto lento, per poi riprendere il ritmo normale e ritrovarci in 3 minuti in posizione sul palco distribuite.
Sara: Sigafigaflash, si doveva fare 3 trecce in 1 minuto, sfida fallita
Marta: Tapperware, doveva fare 22 addominali in braccio a Ilaria, sfida vinta
Pauline: Doubleciao, fare il giro del teatro rotolando, sfida superata
Sofia: La Poppi felpata, si è sbagliata a dire 40 candele, voleva dire 30, ne ha fatte 33, sfida superata ma si è fregata da sola quindi no
Francesca: Francamente, dire lo scioglilingua dell’arcivescovo di Costantinopoli in verticale sulla testa, sfida superata
G:Delusional Piombo , chiudere in un minuto preciso le mani sulla testa, sfida non superata di poco
Chiara: Karinaflex2,fare una pila di almeno 10 oggetti alta un tot, sfida non superata, la pila e caduta
Ilaria: Ierba Eldorado, 50 volte orologio, sfida superata
Barbara: Lula, lavarsi piedi e ascelle e mettere il deodorante nel bagno e tornare sul palco, sfida superata
Alessia: Karma queen, figura del corvo e mangiare una albicocca, sfida non superata
Jaciara: Scintilla, fare ridere una persona (Ilaria), sfida non riuscita
Elhaz: Sassymichuenby, tenere una nota per un minuto, sfida non superata
Sabri: Ladynokia3310, correre in casetta, prendere il suo spazzolino e portarlo in teatro, sfida non superata di pochissimo
Hanno vinto tutto Pauline e Ilaria (primo posto), Barbara (terza), Marta e Francesca (seconde)
Pranzo con pasta al pomodoro e pasta al pesto con pomodorini
Tornate in location sotto al portico con i tavoli da picnic in una bellissima posizione da wrestling, è suonato il campanello, foto ad occhi chiusi, di nuovo gioco Collettivo 4.4, le squadre erano:
Barbara(spettatrice) Alessia, Chiara e Francesca
G, Sara(performers)Marta (coreografa) Ilaria (spettatrice)
Paulina, Elhaz(spettatrici), Jaciara, Sofia, Sabrina(danzautrici)
Sofia, Sabrina, Jaciara sono andate nel magazzino, Jaciara ha subito avuto l’intuizione della torcia su plastica colorate semitrasparenti, che sono diventate la nostra scenografia, avevamo le tessere Veggenza(tema), Barocco e scommessa(sottotemi), maschere colorate e telo rosso (props), tempo free e magazzino come luogo
Ila era la nostra spettatrice in prestito, e ci ha prestato il telefono come una delle torce, e le cuffie che poi abbiamo fatto mettere alla performer fuori che aspettava sulla sedia con della musica barocca appunto nelle orecchie.
Le spettatrici abbiamo deciso che entravano una alla volta e provavano una seduta offrendoci una domanda, abbiamo messo le mascherine colorate ai tubi tutti in piedi ai lati, abbiamo provato 3 mascherine sulla faccia di Jaciara ma abbiamo poi scartato l’idea, io volevo usare un martello o per abbattere un tubo come segno ma niente, o per fare un gesto performativo, ma poi martello scartato, alla fine io (Sofia) sono rimasta tutta nuda seduta su una sedia da un capo del telo rosso steso a terra e dall’altro capo sull’altra sedia c’era la spettatrice, in base alla domanda della spettatrice improvvisavo i movimenti, Sabri le parlava e canticchiava da un tubo e la guidava nell’entrata e nell’uscita per la fruizione, Jaciara dietro ad una grata faceva cadere un tubo che era un segno e invitava la spettatrice se non si alzava nulla (Elhaz ad esempio ha detto “nono io non ci vengo”, se andava lei chiudeva la grata e non la faceva entrare (Pauline voleva), e lei è Sabri ridevano, il mio movimento da piccolo cresceva, e quando spingevo indietro la sedia Sabri diceva che era finita la performance e le faceva uscire.
Elhaz ha detto che da seduta sembravo un ermafrodito, e avrebbe preferito se non mi alzavo in piedi.
Elhaz ha detto che mentre aveva le cuffie è partita una canzone di spiriti e sentiva Jaciara e sabri ridere e c’era una congruenza di suoni.
Pauline era rilassata dalla musica.
Ilaria ha detto che siamo state tra noi molto collaborative e l’abbiamo coinvolta come spettatrice e ci ha dato dei consigli.
Poi Ila ha raccontato la performance di Marta, G e Sara
Marta va a prendere Ilaria
“Ci sono 3 punti di vista che cambiano”: spioncino, porta socchiusa, porta aperta sulle docce
Pubblicità di saponi intimi, mani con uovo, faccia con sorriso e le performer alternano il sorriso.
Performer con tute da meccanico
Sara scopre la spalla a G e le spacca un uovo sopra
Entrate nelle docce, G sorride all’uovo e alza la testa sorridendo, Sara verso il muro danza in modo malinconico
Tutte e due in una doccia, hanno dato l’uovo a Ilaria, Sara Spoglia G, le fa una doccia raffazzonata, hanno ripreso l’uovo, spioncino, si scambiano l’uovo, si ricambiano nelle doccia, Sara lecca e mangia l’uovo e vomita un pò
Spioncino, si passano l’uovo, Sara si spoglia, si passano là poltiglia dell’uovo, luce spenta con “Senza fine” di Gino Paoli
Le altre non ci hanno raccontato la loro performance perché durava 60 minuti e noi abbiamo iniziato prima il resoconto, poi ci hanno dato le consegne per il giorno dopo, e tutti a casa a fare la cena.
—
Tempo: 11/06/25 ore 16:54
Spazio: sedut* sul palcoscenico
Reporter: Elhaz
Racconto di un sogno fatto la notte fra il primo e il secondo giorno di residenza.
Ho sognato le mie gambe essere rami, ed aggrapparsi (attorcigliarsi) a una scala. Le mie gambe erano tanto forti da rimanere stabili, il mio corpo in pendenza rimaneva forte, nonostante sotto di me il canyon chiamava la mia caduta
—
Tempo: 11.06.25 ore 18:35
Spazio: Via Roma, camminando verso il teatro.
Reporter: Francesca
Colgo una sola frase di un capannello di anzianə:
“Eh, un minuto. In un minuto non fai neanche a tempo a metterti a sedere.”
Immagino le loro scommesse.
—
Tempo: 11 giugno 2025 ore 9.05
Spazio: Sentiero 049
Reporter: Barbara
Giorno 3:
Luna piena in Sagittario
ho la sensazione che qualcosa stia accadendo
sono nella traiettoria della vespa
sinché non emerge la verità, tutto tace
se si rivela, diventa apocalisse
ma nel bosco
ogni presenza trova assenza
Bagno-doccia del teatro
ore 17.31
processo di osservazione alla performance Senza Fine:
Alle ore 17 è stata presa in considerazione la fragilità dell’uovo
Alle ore 17.30 è stato deciso che lo stato di fragilità dell’uovo sarà compromesso
pensieri liberi su performance C’è sempre tempo:
un potere non è necessario
senza odio o amore
oscillo tra
un’immagine ci unisce
un’azione ci identifica
un ruolo ci interroga
forse
raccogli la luce
riportarla tra le mani
fammi vedere
il suo corpo morto
oggi è la cosa più interessante
che abbia visto
il suo corpo morto
mentre mi guardi
Santa offri
il potere di deludere
per fare rinascere
—
Tempo: 11.06.25 ore 10.54
Spazio: camerino
Reporter: Pauline
Questo tempo preciso mi ha fatto innamorare di ogni singolo gesto, movimento, azione.
—
Tempo: 11.06.25 ore 11.30 pm
stiamo guardando la luna (delle fragole) luminosissima
Reporter: Marta
chiedo ad Alessia di darmi una parola per oggi :
<< ho fatto un pensiero riguardo all’essere attraversato >>
e mi dà un bacino sulla guancia destra
bevo del succo con Elhaz
mi dice che l’ha colpit la quantità di cose che ci siamo dettə e il potere della collettività
-la conversazione è preceduta da un gioco di carte “io sono te”
Alessia e Elhaz mi donano la chiave di lettura per la giornata che ancora non avevo trovato. Rumore e brusio, silenzio e pace si sono costantemente alternati nello scorrere del mio tempo sole.
La collettività gruppo mi attraversava con il suo rumore e brusio scontrandosi con la necessità di silenzio e spazio che la mia persona chiedeva, per poi adattarsi, accogliere, abbracciare e aspettare. Trovare il silenzio in loro.
Ci chiediamo come siamo mortə nella nostra vita passata.
Raccontiamo le nostre esercitazioni performative.
Ci passiamo la macedonia in segno di azione collettiva e di cura.
Stamattina la meditazione non mi è stata amica, stasera la meditazione mi tende la manina.
—
Tempo: 11 giugno 2025 11.55pm
Spazio: Dal van
Reporter: Alessia
Collettivo Cinetico mi ricorda quanto è bello Giocare. Tra il divertimento e l’innocenza del bimbo e la strategia di chi prova a conoscere i misteri della vita, per poi apprendere a camminare a testa in giù.
Giochi o non giochi?
E quando dici di sì sei dentro e in quel dentro c’è il tutto e quel tutto è la vita.
—
Tempo: 11 giugno 2025 00:02
Spazio: Dal mio letto, in stanza con G e Poppi che dormono
Reporter: Sara
Abbiamo fatto un gioco,
Pesco 2 volte e due volte mi escono domande da fare agli altri su di me.
“Cosa vedete di voi stessi in me?”
Tutti i presenti mi rispondono:
Visionaria
Malinconia
Vuoto
Cura
Gentilezza
Pazzia
Tenerezza
Desiderio di non sentire così tanto
Determinazione
Pensavo prima in doccia, quanto sono fortunata ad avere così tanta diversità intorno a me.
Mangio con gli occhi ogni dettaglio, fotografo nei miei muscoli ogni sensazione,
registro con la pelle ogni emozione.
Quanto siamo diversi
Quanto siamo però accomunati.
Quanti fili rossi posso avere?
20 minuti di prime volte “senza fine”
Oggi sono andata in scena come performer per uno spettatore.
Oggi sono andata in scena in una doccia.
Oggi in scena ho lavato una persona nuda.
Oggi in scena ho leccato un uovo crudo.
Oggi in scena performavo con un 100 piedi.
Oggi in scena ho spogliato una persona completamente.
Oggi in scena mi sono spogliata completamente.
Oggi in scena ero in scena.
Oggi in scena ero loro.
Oggi in scena ero bambina.
giovedì 12 giugno – GIORNO 4
Tempo: 12/06/2025 ore 23.51
Spazio: Scale della casetta
Reporter: Ilaria: rea
Oggi abbiamo iniziato la giornata facendo colazione (almeno io). mi sono svegliata presto, ho fatto colazione insieme a Babi, Jaci e Sofi con cui sono poi andata a fare una passeggiata a mondaino. Passeggiando per il paese abbiamo incontrato Francesca,Angelo e Carmine che uscivano dal portone del centro giovani.
Una volta tornate ci siamo preparate per andare a fare meditazione in teatro.
alle 9.20 stavo scendendo il vialetto per andare a fare mediatazione. Dopo un po’ Francesca ha iniziato a guidare la meditazione , chiedendoci di fare attenzione agli odori e di aprire il senso dell’olfatto per poi passare a visualizzare sul nostro corpo un’area fiorita. Lo step successivo era immaginarsi fiori per poi aprire gli occhi e vedere i fiori dell* nostr* compagn* e vedere il campo fiorito da noi formato.
Una volta aperti gli occhi e sgranchito il corpo ci siamo spostate in teatro e abbiamo fatto un esercizio per risvegliare i vari strati del corpo , partendo dalla pelle, sentendola sul pavimento, fino ad arrivare alle ossa e alla variazione di peso che non doveva essere faticosa a livello muscolare ma organica, in oscillazione continua (per me è stato difficilisssssssimo). Poi abbiamo chiuso gli occhi e ci abbiamo iniziato a cercati per prenderci le mani e formare un cerchio, tutto ad occhi chiusi. Abbiamo creato un bellissimo cerchio. (…)
Dopo pranzo abbiamo giocato l’ultima partita di cinetico 4.4 (io ero con jaciara, chiara e pauline). Dopo le partite e finite tutte le performance dove sono successe varie cose tra inseguimenti e spostamenti di furgone ci sono state date le consegne per il giorno dopo:
-il silenzio tra di noi comincerà da domattina appena sveglie ( quindi dal momento in cui vai a letto) facendo attenzione a cercare di ricordare i sogni della notte. E poi abbiamo scoperto di avere tutt* la randomness, e che domani scopriremo i nostri inneschi (per cui vorrà). Poi un oretta di preparativi per fare apericena nella piazza di mondaino dove abbiamo bevuto, mangiato e guardato la luna delle fragole tutt* assieme.
—
Tempo· 12/06/2025 ore 18:05
Spazio: salita
Reporter: Sofia
Mentre facevamo la performance sulla salita (Sara performer e creatrice, spettatrici Marta Sabri e Alessia) è arrivato un furgoncino che doveva scendere, Angelo è venuto, ha spostato il furgone ma la performance ha continuato ad andare, il furgone è stato messo giù e poi riportato su, ma la performance è rimasta performance, è stato magico, l’imprevedibilità crea cose speciali
Angelo è riuscito a vedere e partecipare ad un pezzo di performance, il caso lo ha fatto partecipare, e lui ne è stato felice.
—
Tempo: 12.6.25 ore 18:14
Spazio: Via Borgo, diretta verso il teatro.
Reporter: Francesca
Trovo questo biglietto della fortuna.
Lo lascio lì, perché possa parlare ancora ad altri corpi.
Perché forse parla dei nostri corpi di ossa che si smontano e rimontano nell’inerzia di questa mattina.
E di tutte le cadute che verranno tra coreografia e vita.

—
Tempo: 12.06 ore 23.40
Spazio: Esterno casetta
Reporter: Barbara
quanto si fa
per se stessi
è il disegno che si fa del mondo
—
Tempo: 12.06 Ore 10.55
Spazio: sotto al portico
Reporter: Pauline
Mentre meditavo si sono sciolte delle lacrime, una lacrima è scivolata lungo la guancia al mento al collo fino al petto, dove si è dissolta. quando ho riaperto gli occhi le lacrime avevano unito le ciglia che sembravano dei petali di fiore in linea con le parole di Francesca
Ore 00.43, sedia vicino alle camere da letto
Dopo l’aperitivo alcun* di noi sono tornat* a casa dal bosco, cantando e tenendoci per mano, eravamo circondat* dalle lucciole, abbiamo chiesto il permesso al bosco di attraversarlo. Per me avrebbe potuto durare ore quella passeggiata!
—
Tempo: 12.06 Ore 22.44
Spazio: Bar a Mondaino con tutti
Reporter: Sara
Guardo Babi ascoltare distrattamente attenta, attraverso la mano gesticolante di Francesca.
Gioca con una ciocca di capelli RICCI.
Penso che è molto bella.
Scrive poesie allora gliene scrivo una.
Ogni riccio un capriccio
Capricc
Io
Io
Chi sono io senza l’altro
In fin dei conti sarei il niente
Te
Io e te
Tu e me
Aggrovigliata
Appesa
Cammina decisa
In bilico
Appesa ad un capello
Salda
Mi lancio da questa liana
Atterro
Non mi serve la posta d’atterraggio
00.47
Divano della casetta
Sono pervasa di energia cinetica.
Non riesco a fermare i pensieri, gli stimoli, le sensazioni, le emozioni.
Questa mattina io e la meditazione abbiamo combattuto in silenzio.
Mi è bastato uno sguardo e un compagno mi ha accolta e ospitata in fianco a lui sul suo tappetino, vicino al muro, mi sono sentita accolta e protetta da lui, dalla terra e dalle spalle del teatro.
Ho combattuto anche con le “candele” che mi scendevano dal naso, costantemente. Quel solletico, bruciore e fastidio snervante in contrasto con quel prato fiorito che vedevo e sentivo intorno a me.
Il cerchio, ho riconosciuto tutte le mani incontrate e tese in cerca di incontri.
Avevo caldo e mi sono tolta la maglietta durante lo yoga, nessuno mi guardava male per questo, e nemmeno io l’ho fatto.
“Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella, luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra.”
Sono in scena insieme a voi, la mia mano si muove, danza, segna il foglio come voi segnate il palco, l’aria e il tempo.
I vostri corpi sono così grandi che non mi basta un A3.
Da bambina alle mie feste di compleanno obbligavo tutti ad inventare una scenetta da mostrare ai genitori quando sarebbero arrivati a prendere i rispettivi fogli. Questa consisteva nell’aprire la “scatola degli stracci” di mia mamma e creare dei vestiti il più strani possibile.
Spoiler: ho 5 amici, mi ricordo più le scenette che i soffi sulle candeline ma direi che col senno di poi va benissimo così.
Tutti i migliori sono matti, diceva…
Il sole è una cazzo di palla di fuoco
La luna è una cazzo di palla di fragole
Ho vinto,
Sono ariete dicono.
Si scherza ma
in fin dei conti crederci funziona davvero forse?
È bello sapere che qualcuno sorride di te,
Per te.
È bello sapere che qualcuno sorride grazie a te,
Con te.
Non ringrazio mai abbastanza.
—
Tempo: 12.06 Ore 1.05
Spazio: dal letto sopra a Babi
Reporter: Sabrina
Non riesco ad addormentarmi.
Povera babi che sente il mio rigirarmi inquieto.
Penso che sono grata d’avere momenti lenti in cui apprezzare la luna di Fragole che si sostituisce nel cielo alla palla infuocata del sole al tramonto.
Fra 18 anni dirò che l’ultima luna di Fragole l’ho vista con voi.
—
Tempo: 12.06
Reporter: Franca
11’20, scale della platea dentro il teatro.
Esercizio dell’ape regina.
Un’altro senso in meno.
Ho il terrore.
Ma mi è stato detto che è tutto ok.
Posso scegliere.
È ansiogeno.
Ma perché?
Io lo so perché, certo, ma qui non mi fa del male nessuno.
Non mi distingue nessuno.
Non si allontana nessuno.
È tutto così calmo che neanche una spina mi farebbe male.
Canto parole per invocarti,
Piango parole per sussurrarti che ho bisogno di te.
E tu mi sorridi, perché sai che per me resti eterna.
Chissà cosa c’è,
E chi c’è,
Ma noi abbiamo il dono dell’immaginazione.
01’43 13/06
Camera da letto
La complicità nella semplicità.
Vorrei prendere la chitarra e potervi dedicare ad ognuna una canzone.
Con occhi sereni.
Ore 01’14, letto a castello sopra Marta.
Stamattina mi sono svegliata che stavo male.
Mi sono arrivate le mestruazioni,
mi chiedo sempre perché mi arriva sempre nei momenti meno opportuni, poi mi chiedo, ma qual’e il momento giusto per averlo?
Vabbè,
prendo gli integratori, sicuramente mi aiuteranno ad affrontare la giornata.
E invece no.
Durante la meditazione, inizio a sentire un bruciore interno, il fegato mi stava dicendo che il mio corpo stava male e doveva sfogarsi esternando in quale modo.
Non sapevo come fare.
Sono una persona molto ansiosa, e non riesco a stare ferma.
Mi agito, tremo, sudo.
Il mio cuore inizia a battere più forte.
Il mio bruciore inizia ad essere sempre più intenso, fino a salirmi alla gola.
“Non riesco” penso.
“Adesso mi alzo, interrompo tutto e corro in bagno” ripenso.
Nel mentre il bruciore inizia ad espandersi nella mia gamba destra e nelle braccia.
“Non so cosa fare” penso.
Lunedì me ne sarei andata. Ma mi sono fatta una promessa, riuscire nel mio piccolo a controllare la mia ansia, partendo dalla cosa più difficile per me, la meditazione.
Resto ferma, immobile. Penso “adesso non pensare, non succede niente, è solo nella tua testa”.
Ad un certo punto lo sento.
Sta svanendo.
Il bruciore si è arreso, e ha smesso di combattere contro la mia ansia.
Ho riaperto gli occhi al via di Francesca, e sono tornata ad essere io.
Grata per il mio corpo.
Stamattina mi sono svegliata che stavo male.
Stasera finisco la giornata con il cuore sereno.
venerdì 13 giungo 2025 – GIORNO 5
Tempo: 13.06.25
Reporter: G
Stamattina al risveglio vigeva già la regola dell’assoluto silenzio (sia di parola che di gesti).
Sces* in teatro abbiamo trovato la scatola con i bigliettini della randomness e abbiamo cominciato la meditazione rivolt* al bosco, alcunə sedutə sui cuscini, altrə sulle sedie, liberamente. Dopo un tempo, Francesca ha guidato la meditazione (tutte le cellule come bacini d’acqua) e lo scioglimento, invitandoci a prendere un tempo di contemplazione del bosco e a mantenere una lentezza fino al rientro in Teatro. Ancora regnava l’assoluto silenzio.
Il Collettivo ci ha spiegato che alle 13.25 ci saremmo immobilizzat* in un punto del bosco e di scattare una foto una volta che avessimo sciolto la posizione per poi andare a pranzo. Alessia ha tenuto la posizione circa 50 minuti.
Pomeriggio
Ultima performance, ci spiegano come parte la gara dell’immobilità, senza dare un inizio preciso, arriverà in un momento x.
Verrà suonato il gong e una canzone scelta dal gruppo su 4 brani. (Scelta la canzone di Gigi Dag).
Ad esercizio inoltrato viene suonato il gong e comincia la canzone Gigi Dag che segna l’inizio della performance dell’immobilità. Piano piano le persone cominciano a lasciare la scena (seguendo per bene le istruzioni) finché rimane il trio Sara, Jaci e Sabri. Le tre figure formano un triangolo sul palco. Jaci in posizione di preghiera, Sabri di fronte a lei la guerriera con i pugni sui fianchi, Sara di spalle al pubblico in torsione. Sara è l’ultima performer che rimane sul palco, mantenendo la posizione per quasi un’ora.
Il gruppo è visibilmente emozionato e scosso, c’è silenzio.
Sabri va in randomness nel corridoio del teatro e viene trasportata in braccio fino ad essere distesa sul tavolo all’esterno, al centro dove ci si scambiano i feedback di cosa si è pensato e provato, gli ultimi aneddoti, le ultime suonate di campanello, le ultime danze e i saluti.
G.
—
Tempo: 13/06 ore 14, pausa pranzo
Spazio: gradinata dentro il teatro.
Reporter: Franca
Dice il mio nome,
Non lo sento subito,
Poi mi accorgo,
Cado,
Precipito,
Petali sul mio corpo che si sono trasformati in pelle.
Ho tenuto un controllo che spesso fatico.
Immobile, tra svariati cuscini, fuori e mandorle e carezze.
Mi sento un fiore,
Annaffiata da acqua e amore.
La cura altrui per il mio corpo.
Sento un bruciore tra le mie scapole, voglio muovermi, ma resisto.
Immobile.
Ancora tanto bruciore tra momenti di distrazione nella mia mente.
Mi sveglia.
In teatro, avvolta da petali e dall’acqua ormai asciutta.
Non so cosa dire.
Non so cosa pensare.
So solo che non so.
Mi sento altrove.
Come se fossi resuscitata e nessuno mi vedesse.
Osservo tutti che sono in una posizione immobile, mente io mi sono sciolta.
Si è ribaltato tutto.
Loro adesso sono me.
Io sono loro.
🕛23’48
📍letto a castello sopra Marta senza Marta
Penso al silenzio di stamattina.
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma penso anche che sia un percorso che serve anche per una crescita personale.
E quindi, continuo.
Tutti in silenzio, tutti con lo sguardo verso il basso.
Due sentimenti mi contraddistinguono.
Per una volta, ho avuto un momento di sollievo pensando che non avrei avuto quella sensazione di disagio nel non capire cosa una persona stesse dicendo.
Sollievo.
Anche se è lecito chiedere di ripetere ciò che dice una persona.
Ma ogni persona ha il suo modo, giustamente.
Non siamo tutti uguali e consapevoli.
Sollievo che si trasforma in sensazione negativa.
In mezzo a molt* person*, sguardi abbassati, silenziosi, con il tempo che scorre.
Una sensazione, che conosco molto bene.
Respiro affannoso.
Lo conosco già.
Molto bene.
🕛 00’04
📍letto a castello sopra Marta, con Marta.
Sentivo chi stava male oggi.
Sentivo il mio cuore che si stringeva.
Volevo abbracciare.
Ma lasciavo il suo spazio.
Non riuscivo più, la mia schiena bruciava, ogni mia cellula si stava sgretolando, sentivo tutto.
Osservo chi ho vicino,
Osservo chi ho lontano mentre mi tolgo la mia maschera, volevo piangere.
La mia salvietta ha tolto la maschera.
Sono pronta.
Ho pianto vedendo immagini.
Jaciara che prega per una società migliore.
Sabrina che non si piega davanti a niente.
Sara, con il suo tremolio interno, la sentivo.
Il suo corpo nel mio, non vedevo i suoi occhi, ma il mio cuore si.
Sapevo che avrebbe mantenuto la promessa al suo corpo.
Ha vinto, perché è Ariete, e ho imparato questa settimana che loro non mollano anche se cadono mille volte.
Anche se non avevo bisogno di sapere che l’ariete è così.
Già lo sapevo.
È un gioco di corpi.
Di sensi.
Di sensibilità.
Si conclude.
Ma resta una scia di emozioni infinite.
Resta il ricordo.
Con il cuore e la mente più ricca.
—
Tempo: 13.06 Ore 8.40
Tavolo fuori dalla cucina a colazione
Prendo il pacchetto di biscotti dalla dispensa, lo porto fuori, lo apro, era vuoto.
Marta prende il vasetto di nocciolata, lo apre, era semi vuoto.
Uso la marmellata, cambio coltello perché sotto c’è il burro d’arachidi, se no Sabri non può mangiarla più.
Con le parole non si sarebbe capito più un cazzo.
—
Tempo: 13.06.25 Ore 9.17
Spazio: Appoggiata alla metà della staccionata del vialetto che porta al teatro.
Reporter: Ilaria
Mi guardo intorno ed è tutto bellissimo.
—
Tempo: 13/06/2025 22:13
Spazio: divano di mia nonna a Casalbono
Reporter: Sofia
È incredibile come un corpo fermo possa fare più rumore e generare più movimento di un corpo in movimento fisico certe volte, provare e vedere l’estremo sforzo, il corpo che si mette alla prova fino a cedere, spogliarsi nella sua fragilità, e disarmante, quando Sara è uscita, dopo il suo estremo sforzo, e il palco è rimasto vuoto, ma ancora pieno della nostra presenza, sono scoppiata in un pianto incontenibile, è successo qualcosa di incredibile oggi, e più ci penso e più mi sento grata di condividere questa esperienza con persone così meravigliose e diverse fra loro, poter vivere dei luoghi così preziosi e speciali, in cui il tempo si ferma, e c’è un’immersione completa che ci permette di fare quello che amiamo per tutto il tempo, è un privilegio gigantesco
Penso anche a ieri sera, scendere per il bosco di notte cantando tutte insieme e facendoci forza, ammirando le lucciole, che illuminavano il bosco, mi ha riempito il cuore
13/06/2025, 22:19, sempre divano di mia nonna
Tante coincidenze sono avvenute questa settimana, e non penso siano solo coincidenze, credo nel destino, e credo parli sempre tanto
Cosa ho provato nell’immobilità? Pensieri vanno e vengono, mi concentro su un pensiero ossessivo, poi sento che il mio corpo sta tremando, poi si placa, poi sento che sta diventando più caldo, mi concentro su di lui, poi sento la mia aura espandersi, quasi trascendo il corpo per un attimo, mi sentivo una statua, ricomincio a tremare, ad un certo punto il mio mignolo mi ha tirata e i miei occhi si sono aperti.
—
Tempo: Giorno 5 Tra le ore 8.30 e le 22
Spazio: Inizia nel sentiero fronte teatro finisce in cucina a Bologna
Reporter: Barbara
Alla fine
le parole non servono a niente
servono all’inizio
nel mentre e a 3/4
ma alla fine
l’esperienza vive
è
non ha bisogno di dire niente
—
Tempo: ore 8.08
Spazio: nel letto a castello
Reporter: Chiara
parte il silenzio e le cadute nel vuoto.
ho paura di dimenticare, ho paura di lasciare questa sensazione di presenza che sta là dentro la pancia.
grazie a dio ho dei testimoni con me
grazie a dio non sono sola
se casco oggi qualcuna mi risolleverà
chissà quando, chissà dove
ore 22.27 arrivata sul divano di camera mentre aspetto il falafel
ho aperto gli occhi e ho abbondato la posizione
mi sono sentita perdente, potevo tenere di più
dentro di me pensavo “ancora un’altra canzone” ma poi ho ceduto anche alla curiosità di sapere chi rimaneva e chi era andato via
mi siedo e non mi sento più perdente
ci sono loro e loro stanno vincendo anche per me
sento la schiena di Sara che parla anche per me
sento le mani a preghiera di Jasi che pregano anche per me
sento Sabry che combatte anche per me
Sara ha vinto ma ha vinto anche per noi
—
Tempo: ultima giornata: venerdì 13 giugno 2025 Ore: 11.10pm
Spazio: inizio a comporre questo messaggio nel mio van
Reporter: Alessia
Silenzio.
Meditiamo.
La rosa che ho davanti ha la faccia di un elefante. Poi penso ai fiori con le facce nel cartone ‘Alice nel paese delle meraviglie’.
Le formiche vanno più veloci del mio dito indice che si allunga per toccare il cielo.
Mi sento grata e felice, perché riesco ancora a ridere.
Considero allo stesso modo sofferenza e gioia e in questa danza del Tao a volte mi perdo.
Immobilità, in mobilis, senza mobilità e allora cosa rimane?
Vita.
Siamo io e l’ albero.
Sono io e l’ albero.
Sono io albero.
Sono albero.
Sono.
E in questa sottrazione aggiungo vita.
Pensiero intrusivo: biscia nera nel bosco.
Dai reni sale una scossa di paura sudata che mi tocca le mani.
Sto.
Il suono del campanile scandisce il tempo.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
Sono le 14.20.
La famiglia accoglie il ritorno della figlia dalla guerra. Piango il non detto.
“Caffè?”
Morta.
“No povera Alessia, risvegliamola!”
“Amo, ritorna tra noi!”
“No, mettiamola in una posizione più comoda!”
“Ma io le ho riscaldato il sugo!”
“Se sta ferma un altro po’ schiatta!”
“Io la sveglio”.
Cinque, quattro, tre, due, uno.
La loro danza mi bussa agli occhi, decido di farla entrare.
Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno.
Mi parte un dito, una gamba, una mano, il bacino.
E poi arriva lui: Gigi D’ Ag.
Immobilità, in mobilis, senza mobilità e allora cosa rimane?
Vita.
Siamo io e la musica.
Sono io e la musica.
Sono io musica.
Sono musica.

sabato 14 giugno 2025 – GIORNO 5 +1
Tempo: 14.06 Ore 8.23
Spazio: dal mio letto nella casa in cui vivo a Bologna accanto al mio partner che dorme.
Reporter: Sabrina
Non so per quale motivo ma prima di scrivere di ieri ho voluto aspettare di essere sola o almeno l’unica sveglia. Certe cose se non le vivi non le puoi capire. Sento che ho dei segreti che voglio rimangano segreti.
Report 13/06/2025
Ero terrorizzata, non l’ho detto perché non lo dico mai ma abbandonarmi con fiducia all’altro è qualcosa di impensabile per me. Il silenzio della mattina mi ha costretta a tacere questa paura lasciandomi con il desiderio di urlarla. Così ho lasciato urlare il mio corpo tutta la giornata.
Insieme a Marta sul palco e con tutti i vostri visi attorno, insieme agli alberi nel bosco che erano diventati parte di me e io di loro.
Pomeriggio
Sento già nell’aria un’elettricità diversa. Forse perchè è l’ultima volta.
Ci prepariamo per affrontare l’apocalisse che sta arrivando.
Non sono sola, lə guerrierə intorno a me combattono con me, per me, attraverso di me.
L’ultima danza è di una bellezza disarmante, lascio che i miei occhi piangano d’amore vedendo le stagioni attraversare i corpi dellə mie compagnə che fioriscono in attesa dell’inverno.
Ho paura.
Arriva il gong e l’apocalisse cala il suo velo su di noi.
Penso che sono fortunata per la posizione che mi è capitata.
Penso che questo pensiero mi accompagna nel privilegio della vita che mi è capitata.
Aspetto una canzone, un’altra e un’altra ancora.
Il mio corpo urla, i piedi radicati a terra bruciano. Respiri profondi, non li sento più, ma va tutto bene, sento il resto del corpo che è presente e sento tanti corpi che sono lì a sostenermi a combattere per me, con me, attraverso di me.
È un combattimento di resa. Immagino di muovere le dita ma non lo faccio, immagino di togliermi una mosca dal collo ma non lo faccio. Il solo immaginare muove il mio corpo nello strato più profondo ed interno.
Comincio a fluttuare attorno al mio corpo che mi tiene stretta in quei pugni, chiusi da così tanto tempo che penso di non riuscire ad aprirli mai più. Come uno strano palloncino ad elio legato ad un filo.
Sento le statue delle mie compagne vive intorno a me. Non sono sola. Non lo sono mai stata.
Un’altra canzone, ancora un’altra canzone.
Mi sento forte, nella vita combatto sempre, ma questa guerra è diversa mi devo arrendere. Mi devo arrendere alle mie sensazioni, alla fiducia che ho in me. Forse è che ho poca fiducia in me per certe cose.
Una canzone, un’altra canzone.
Non posso mollare, ci sono persone in posizioni sicuramente più dure della mia, non posso mollare. La mia sofferenza può aspettare. Può sempre aspettare.
Dietro alle palpebre si alternano immagini e colori e mi aggrappo alla musica come unica possibilità di salvezza.
Un’altra canzone, ancora un’altra canzone.
Sento che il filo del palloncino che mi collega al corpo si sta tendendo troppo, quasi si spezza, sento che rischio di non poter tornare mai più indietro.
Ripercorro il fragile filo e ritorno nel corpo, che trovo come una casa che ha resistito ad un bombardamento. Grazie che sei ancora qui. Tremo fortissimo. Respiro profondamente per mandare ossigeno alle estremità ma non basta più.
Ho resistito tanto. Sono stata brava. Ora torno dalla guerra, ho una famiglia che mi aspetta.
Apro gli occhi pianissimo e vedo che siamo rimaste in tre. Subito si appannano di lacrime di gratitudine, sollievo e amore, per gli altri e per me.
Il corpo è come corteccia rigidissima, non lo riesco a muovere, le dita non si aprono più.
Piano piano riesco a voltarmi e vedo i visi dellə guerrierə che hanno combattuto prima di me questa guerra di resa e piango perchè sono bellissimə e le ho sentite nelle mie radici tutto il tempo.
Tolgo la maschera e torno alla vita, ma effettivamente l’apocalisse un po’ il mondo lo ha cambiato.
—
Tempo: 13.06 Ore 9.54
Spazio: Sono sul divano di casa mia (il più scomodo mai stato progettato) a Bologna
Reporter: Ilaria
Vi penso e le lacrime mi raggiungono un’altra volta gli occhi, smetterò mai di commuovermi con voi?
Vi vedo in cucina dalla finestra
suona il posacenere
silenzio.
Vi vedo in teatro contro la luce del bosco
E siete voi
Ho tremato con voi
Sono stata con voi
E sono ancora con voi
Ho sentito l’immobilità che non mi è mai appartenuta non appartenermi mai, li ho sentiti i nostri piccoli movimenti, le vibrazioni dei nostri corpi insieme in un unica esperienza, il freddo pavimento, le vostre scuse non dovute, la bava che si accumulava creando quel lago calmo nella mia bocca adesso reale. Poi il risveglio è improvviso pianto. Sostegno ho ricevuto mai abbandono.
Vi ho vist immobili nel bosco, resistere e resistere e resistere. Restare.
Poi il pranzo e la fine, accoglienza in un silenzioso applauso e il pianto, che potenza.
Sto ricordando dimenticando il tempo, tutto ciò che è successo è un’unica linea che mi attraversa il corpo e ogni esperienza ne è una parte. Siete dentro di me adesso.
Ci siamo sentite, ci siamo accolte e lotteremo insieme.
Non vedo l’ora.
—
Tempo: 13.06 Ore 10:16
Spazio: scrivo dalla cucina di casa mia a Bologna, mentre faccio delle crepes per me e il mio partner, con gli occhi ancora un po socchiusi e confusi, e la canzone della pratica mattutina del Qi Gong nella testa
Reporter: Elhaz
Immaginando una realtà in cui tutti i miei giorni siano condivisi di lacrime, sorrisi e condivisioni sincere.
Nella mia testa scorre un affetto per una realtà diversa, una speranza. Vedo nei loro occhi frammenti di me, vedo che loro scrutano qualcosa di loro, in me. Mi riconosco.
Il mio movimento corporeo è inevitabilmente cambiato, sento ogni singola cellula.




domenica 15 giugno 2025 – GIORNO 5 + 2
15 giugno
ore 11.37 cucina di Bologna
ripercorrendo appunti:
Pensieri ricorrenti durante le meditazioni:
Reporter: Barbara
Giorno 1: per fare stare ferma me ci vuole un esorcista
Giorno 2: devo assolutamente rubare due cuscini dal teatro e usarli anche a casa
Giorno 3: __________________
Giorno 4: __________________
Giorno 5: la vera rivoluzione non è dover fare ma stare
Stai in quello in cui stai
+ questa mattina durante la meditazione vi ho sentito tutt*
Grazie, siete entrati nel mio silenzio
—
Tempo: 13.06 Ore 12.16
Spazio: buche di pianoro, sponda destra del fiume.
Reporter: Sabrina
Pensiero per i cinetici
Venerdì dopo l’apocalisse non sono riuscita ad esprimere bene quello che sentivo, era talmente forte che mi ha un po travolta. A distanza di qualche giorno forse riesco ad afferrare i miei pensieri più lucidamente.
Grazie.
Grazie per la cura e l’impegno che ci avete dedicato.
Grazie per la generosità con cui ci avete dato dei pezzettini del vostro mondo.
Grazie per la sensibilità con cui ci avete ascoltat*.
Grazie ad Angelo per la sua presenza gentile.
Grazie a Carmine per l’organizzazione puntuale e la dolcezza dei gesti.
Grazie a Francesca per la sua guida tranquilla ma sicura che mi ha portata in profondità dentro di me, in tutti gli strati del mio corpo e mi ha lasciata piena di fiducia per quello che verrà.
Grazie perché mi avete ispirata ricordandomi che giocare è un mezzo potentissimo per entrare nella complessità fisica, sociale e politica di ciò che ci circonda, e quanto può essere divertente e profondo stare al gioco.
Spero che ci sia presto occasione di rivedersi e lavorare insieme.
Intanto Grazie.
È stato meraviglioso.
Tempo: 13.96 Ore 12:58
Spazio: in cucina con mia cugina a Cesena
Reporter: Sofia
Ieri mi è mancato lo yoga tutti insieme al mattino, ho sentito il bisogno della vostra presenza, di quella pratica quotidiana, per il mio corpo e per la mia mente
Mi avete lasciato un segno dentro, e credo che non riuscirò mai ad abbandonare tutto completamente
Nel pomeriggio ho visto il mio trigger, ma non mi è venuto da andare in Randomless, era come se non fosse il momento giusto, ci ho pensato, ma non sarebbe stata la stessa cosa finirci senza voi attorno, senza percepirvi, ho deciso di interromperla, un pò a malincuore
Credo che inizierò a meditare un pochino ogni giorno, è una cosa che fa stare bene, ed un modo per sentire ancora le vostre energie anche se siamo in luoghi diversi.
—
Tempo: 13.06 ore 10.10, Ravenna
Spazio:sul materassino gonfiato a bocca di un pavimento sconosciuto
in casa: G, Sara, Franca
Reporter: Marta
qualcuno suona il campanello e il mio corpo si blocca per un istante, mi rendo conto di essermi fermata nell’immobilità del teatro foglia
di non essere pronta all’agilità metropolitana, di non essere pronta a scandire il tempo in modo orizzontale
Ho visto i vostri volti a Pennabilli, sentito le vostri voci
(letteralmente)
ogni persona era immobile ed era voi, ogni albero attraversato ci guardava e non si muoveva
come se tutto stesse giocando, e giocava con noi
ore 10.17 sono ancora immobile nell’immobilità
—
Tempo: 13.06 Ore 22.
Spazio: Ferrara
Reporter: Jaciara
Questa mattina mi sono svegliata con il mio coinquilino arrivando a casa alle cinque di mattina e la voce di Francesca Pennini nelle mie orecchie dicendo che chi aprisse la porta prima vinceva la gara!
😅🌈✨
Axé
martedì 17 giugno 2025 – GIORNO 5 + 4
21:01
“Se tutto ciò che abbiamo fatto evaporasse, che si trasformi in acqua piovana e che mi bagni… così che evochi qualcosa nel mio corpo che richiami alla memoria.”
Jaciara
venerdì 20 giugno 2025 – GIORNO 5 + 7
Tempo: 20.06 Ore 13:43
Spazio:letto della mia stanza a Bologna.
Reporter: Elhaz
Le cicale che cantano fuori, il ventilatore che scorre sui peli delle mie gambe, una stanchezza che cade sulle mie palpebre. Stamani mi è capitato di raccontare e riflettere su quello che le persone ci dicono e che spesso, può parlare davvero di noi.
Sono già quello che l* altr* vedono in me? In che spiraglio della mia coscienza esistono le mie altre persone interiori, convivono? In che stanze, luoghi, corridoi? Come parlano di sé stesse e con le altre mie parti?
E ricordo, quando una sera nella notte con le stelle che brillavano in cielo, eravamo sedut* tutt* attorno a un tavolo. A condividermi, a condividerci. A vederci nel gioco che non è stato più tale, ma verità. “Io sono te” sono le parole del giocare di quella sera. I vostri occhi mi hanno parlato, riporto e ricordo ciò che mi avete detto, e visto della mia essenza. Le vostre parole sono intessute nella trama della mia memoria, e riportavano quanto segue:
Una pozza blu viscosa con i brillantini argento
Pacifico oceano
Verità
Cavalluccio marino
potere negli occhi
Vedere cosa sta nel mezzo
Sensibilità
Spirito libero
Metamorfosi
Multiforme
Mi destabilizzano, e sento che parlano di me con parole così precise che non so ancora leggerle.
Grazie
domenica 22 giugno 2025 – GIORNO 5 + 9
Tempo: 22.06 ore 09:16
Spazio: Poltrona in camera mia – Milano
Reporter: G
Sto sedimentando.
Torno su questo gruppo per emozionarmi delle vostre parole, grata.
Non so come esprimere la mia incredulità.
venerdì 27 giugno 2025 – GIORNO 5 + 14
Tempo: 27.06 ore 10.24
Spazio: panchina sulla costa della Manica, Veulettes-sur-Mer, GR21
Reporter: Marta
camminando ritorno all’immobilità, sento di non aver ancora chiuso il suo cerchio.
Cammino e penso a ciò che separa il camminare dall’inattività: monogamia e poligamia.
Immobilità come azione monogama, dedizione a una scelta, un’azione con un inizio e una fine. Esperienza pluriforme all’interno della monogamia ma subordinazione alla stasi. Relazione intima di fedeltà al corpo fermo al cui interno si scatenano eventi, pensieri, drammaturgie.
Camminare come azione poligama amplificata e rivolta a più azioni e sequenze, laterali e non: tanti inizi e tante fini. Una collettività di capitoli che compongono l’uniformità dell’azione camminata.
Relazione con il mondo esterno partecipe all’innestarsi di nuove e diverse drammaturgie.
È bello pensare alle azioni corpo come a relazioni intime.
domenica 6 luglio 2025 – GIORNO 5 + 23
Tempo: 6 Luglio, 06:53
Spazio: cucina di mia nonna
Reporter: Sofia
Ricordo il sogni che ho fatto, e ricordo Francesca, ho sognato che venivamo a vedere l’applicazione di un vostro spettacolo su un altro gruppo di formazione, questa volta bambini delle elementari, e c’era Francesca con i capelli più lunghi (spalle) e con la frangia, e anche Angelo è Carmine c’erano, e ci aveva fatto così piacere ritrovarci tutti, c’è stato un grande abbraccio
Riprendo la parola dopo questi spiragli su un percorso che è stato trasformativo anche per noi cinetici, anche per me alla guida.
Ci sono state lacrime bellissime e segni indelebili. Forse saranno state le nostre lunghissime immobilità a impressionarsi nel bosco e nei corpi.
L’ultimo giorno, l’ultima performance, ha avuto davvero la forza di un’apocalisse.
Grazie alle partecipanti per aver condiviso queste parole e per aver giocato, sperimentato e rischiato con generosità, poesia e divertimento.
Ora ci ritroviamo nel mondo.
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giugno 2025
Queste parole non sono le mie.
Sono le voci e i corpi del corso di alta formazione che abbiamo tenuto al Teatro Dimora.
Nascono come diario collettivo tenuto via whatsapp giornalmente, come riflessione, moltiplicazione e deposito delle esperienze svolte durante il giorno.
Ciascunə allievə si faceva carico di riportare i fatti in modo oggettivo e le esperienze in modo soggettivo affinché ogni giorno fosse raccontato diversamente. Inoltre era possibile scrivere e condividere altre riflessioni, poesie, domande.
Per tutelare il mistero e per alleggerire la mole di questi diari verranno riportate solo le riflessioni soggettive e alcuni momenti di quotidianità.
Le indicazioni di “spazio” e “tempo” sono sempre relative al momento in cui il diario viene scritto.
Che questa traccia possa farsi sentiero per avventurarsi nel percorso fatto assieme.
Francesca Pennini
Corso di Alta Formazione “I corpi e le voci della danza” edizione 2025.
Partecipanti: Chiara Andreoni, Elhaz, Sofia Gattamorta, Sara Gaboardi, Pauline Meta Giacobazzi, Barbara Lanzafame, Sabrina Minichiello, Francesca Pagnini, Jaciara’Rocha, Ilaria Linda Principe, G., Alessia Stradiotti, Marta Vergani.
lunedì 9 giugno 2025 – GIORNO 1
Tempo: 10/06/2025 ore 20.44
Spazio: panchina esterna del tavolo, fuori dalla cucina della casetta ad Arboreto.
Reporter: Sabrina
L’arrivo:
Sveglia alle ore 6.50, alzata dal letto alle 7.10, colazione, valigia fatta e disfatta 3 volte.
Preparazione della pasta per il pranzo e la cena di lunedì.
Uscita da casa per raggiungere la fermata del bus, Pauline dice che è in ritardo di mezz’ora, torno indietro per fare la pipì, tolgo dalla valigia un pantalone e una canottiera perché ho esagerato con i vestiti.
Riesco di casa e prendo l’autobus per andare in via Carrocci, sul retro della stazione di Bologna, lì incontro Barbara e Ilaria, chiacchieriamo e siamo emozionate per la residenza.
Arriva Pauline con la macchina per caricarci, esce e ci apre il baule per farci mettere dentro le valige, una signora in macchina si ferma accanto a noi e ci urla qualcosa, non capiamo se sia legato al parcheggio spartano di Pauline o alla sua maglietta che dice “Parlare è meglio di morire”.
Partiamo e in macchina chiacchieriamo di tante cose: cambiamento, politica, Palestina, voto, tartarughe, mare.
Arriviamo all’Aboreto alle 13 circa e scegliamo la stanza da 4, appoggiamo le nostre cose e andiamo in cucina a sistemare la spesa che ci siamo portate da casa (ci siamo organizzate che ognuna portava qualcosa).
Poco dopo di noi arriva la macchina di Marta che ha portato con sé G e Sara, poi arrivano Chiara con Francesca ed Elhaz, e Alessia.
Jaciara era arrivata per prima ma stava dormendo in camera.
Pranziamo veloce e alle 13.45 andiamo in teatro dove ci scattano le polaroid per le figurine dell’arboreto.
Alle 14.00 ci sediamo in cerchio e conosciamo il collettivo cinetico, si presentano Francesca, Carmine e Angelo, e ci spiegano brevemente il palinsesto della settimana.
—-
Tempo: 9 giugno 2025 ore 23.45
Spazio: letto
Reporter: Barbara
giorno 1:
foglia che esce dal corpo
il tempo è relativo
sono pronta, per dormire
—
Tempo: 9 giugno 2025 ore 21.12
Spazio: seduta sulla panca fuori dalla cucina con pauline alla mia sinistra ed insetti che sembrano zanzare ma non sono zanzare
Reporter: Chiara
penso:
quanto è bello sentire le cose dette bene e sentite vere
come si fa?
affondiamo nei divanetti rossi
martedì 10 giugno 2025 – GIORNO 2
Tempo: 10 giugno 2025 ore 9.15
Spazio: sentiero tra gli alberi
Reporter: Barbara
Giorno 2:

una pianta senza animale non è
un animale senza pianta non è
prodigio
micro e macro
rispondo agli stessi bisogni
la differenza
è materia e illusione
il segreto è custodito
ore 19.45
esterno del teatro seduta nella panca di legno
dalla voce di Chiara sento:
cercava di uscire dal palco
ma non trovava uscita
è tornata l’ha presa
aveva gli occhi
timer azionato
fine palco
era di spalle
mi teneva
in posa
e poi
è scappato via
—
Tempo: 10.06.2025 Ore 11.11pm
Spazio: dal divano-letto del mio van
Reporter: Alessia
Impressione sull’esercizio di oggi ‘funamboli’:
Dico di sì, cammino col cuore al guinzaglio che striscia per terra.
Mi sfugge, rotola e poi si ferma in bilico sul ciglio dell’ occhio del mondo.
Il tuo soffio lo butta giù dall’ emisfero sinistro.
E nuoto nel ventre
E urlo la vita.
Vedo nero
E tu, dove sei?
—
Aggiungo una nota scritta ieri (10.06.24), dopo la performance del mattino:
ora incerta, sotto al tiglio
Troppo denso, troppo intenso
Cerco respiro nei tuoi occhi
Vorrei solo lanciarmi senza esitare
Posso?
Chiedo.
Ma perché ti chiedo?
Se tu sei qui
E io sono qui
Non basta questo
Per toccarci fino in fondo
E respirare
Fuochi vicini
Attimi sottili
Di respiri incandescenti
Chi vedi dietro ai miei occhi?
Cosa sussurrano i tuoi?
Pauline
mercoledì 11 giugno – GIORNO 3
Tempo: Mercoledì 11 Giugno. 19:48.
Spazio: Panca fuori dalla casetta
Reporter: Sofia
Il teatro ha aperto alle 9:15, gradualmente siamo arrivate tutte, le prime a posizionarsi sui tappetini fuori dal teatro sotto al portico sono state Marta e G, e poi mi sono posizionata io (Sofia) ed è iniziata la meditazione, mi stavano beccando tante zanzare, e sentivo le persone aggiungersi piano piano, Francesca ha iniziato a guidare la meditazione, quando abbiamo aperto gli occhi ci ha detto di guardare la vita delle piante e captarla, poi ci ha detto di alzarci lentamente e di raccogliere le nostre cose con questo ritmo molto lento, per poi riprendere il ritmo normale e ritrovarci in 3 minuti in posizione sul palco distribuite.
Sara: Sigafigaflash, si doveva fare 3 trecce in 1 minuto, sfida fallita
Marta: Tapperware, doveva fare 22 addominali in braccio a Ilaria, sfida vinta
Pauline: Doubleciao, fare il giro del teatro rotolando, sfida superata
Sofia: La Poppi felpata, si è sbagliata a dire 40 candele, voleva dire 30, ne ha fatte 33, sfida superata ma si è fregata da sola quindi no
Francesca: Francamente, dire lo scioglilingua dell’arcivescovo di Costantinopoli in verticale sulla testa, sfida superata
G:Delusional Piombo , chiudere in un minuto preciso le mani sulla testa, sfida non superata di poco
Chiara: Karinaflex2,fare una pila di almeno 10 oggetti alta un tot, sfida non superata, la pila e caduta
Ilaria: Ierba Eldorado, 50 volte orologio, sfida superata
Barbara: Lula, lavarsi piedi e ascelle e mettere il deodorante nel bagno e tornare sul palco, sfida superata
Alessia: Karma queen, figura del corvo e mangiare una albicocca, sfida non superata
Jaciara: Scintilla, fare ridere una persona (Ilaria), sfida non riuscita
Elhaz: Sassymichuenby, tenere una nota per un minuto, sfida non superata
Sabri: Ladynokia3310, correre in casetta, prendere il suo spazzolino e portarlo in teatro, sfida non superata di pochissimo
Hanno vinto tutto Pauline e Ilaria (primo posto), Barbara (terza), Marta e Francesca (seconde)
Pranzo con pasta al pomodoro e pasta al pesto con pomodorini
Tornate in location sotto al portico con i tavoli da picnic in una bellissima posizione da wrestling, è suonato il campanello, foto ad occhi chiusi, di nuovo gioco Collettivo 4.4, le squadre erano:
Barbara(spettatrice) Alessia, Chiara e Francesca
G, Sara(performers)Marta (coreografa) Ilaria (spettatrice)
Paulina, Elhaz(spettatrici), Jaciara, Sofia, Sabrina(danzautrici)
Sofia, Sabrina, Jaciara sono andate nel magazzino, Jaciara ha subito avuto l’intuizione della torcia su plastica colorate semitrasparenti, che sono diventate la nostra scenografia, avevamo le tessere Veggenza(tema), Barocco e scommessa(sottotemi), maschere colorate e telo rosso (props), tempo free e magazzino come luogo
Ila era la nostra spettatrice in prestito, e ci ha prestato il telefono come una delle torce, e le cuffie che poi abbiamo fatto mettere alla performer fuori che aspettava sulla sedia con della musica barocca appunto nelle orecchie.
Le spettatrici abbiamo deciso che entravano una alla volta e provavano una seduta offrendoci una domanda, abbiamo messo le mascherine colorate ai tubi tutti in piedi ai lati, abbiamo provato 3 mascherine sulla faccia di Jaciara ma abbiamo poi scartato l’idea, io volevo usare un martello o per abbattere un tubo come segno ma niente, o per fare un gesto performativo, ma poi martello scartato, alla fine io (Sofia) sono rimasta tutta nuda seduta su una sedia da un capo del telo rosso steso a terra e dall’altro capo sull’altra sedia c’era la spettatrice, in base alla domanda della spettatrice improvvisavo i movimenti, Sabri le parlava e canticchiava da un tubo e la guidava nell’entrata e nell’uscita per la fruizione, Jaciara dietro ad una grata faceva cadere un tubo che era un segno e invitava la spettatrice se non si alzava nulla (Elhaz ad esempio ha detto “nono io non ci vengo”, se andava lei chiudeva la grata e non la faceva entrare (Pauline voleva), e lei è Sabri ridevano, il mio movimento da piccolo cresceva, e quando spingevo indietro la sedia Sabri diceva che era finita la performance e le faceva uscire.
Elhaz ha detto che da seduta sembravo un ermafrodito, e avrebbe preferito se non mi alzavo in piedi.
Elhaz ha detto che mentre aveva le cuffie è partita una canzone di spiriti e sentiva Jaciara e sabri ridere e c’era una congruenza di suoni.
Pauline era rilassata dalla musica.
Ilaria ha detto che siamo state tra noi molto collaborative e l’abbiamo coinvolta come spettatrice e ci ha dato dei consigli.
Poi Ila ha raccontato la performance di Marta, G e Sara
Marta va a prendere Ilaria
“Ci sono 3 punti di vista che cambiano”: spioncino, porta socchiusa, porta aperta sulle docce
Pubblicità di saponi intimi, mani con uovo, faccia con sorriso e le performer alternano il sorriso.
Performer con tute da meccanico
Sara scopre la spalla a G e le spacca un uovo sopra
Entrate nelle docce, G sorride all’uovo e alza la testa sorridendo, Sara verso il muro danza in modo malinconico
Tutte e due in una doccia, hanno dato l’uovo a Ilaria, Sara Spoglia G, le fa una doccia raffazzonata, hanno ripreso l’uovo, spioncino, si scambiano l’uovo, si ricambiano nelle doccia, Sara lecca e mangia l’uovo e vomita un pò
Spioncino, si passano l’uovo, Sara si spoglia, si passano là poltiglia dell’uovo, luce spenta con “Senza fine” di Gino Paoli
Le altre non ci hanno raccontato la loro performance perché durava 60 minuti e noi abbiamo iniziato prima il resoconto, poi ci hanno dato le consegne per il giorno dopo, e tutti a casa a fare la cena.
—
Tempo: 11/06/25 ore 16:54
Spazio: sedut* sul palcoscenico
Reporter: Elhaz
Racconto di un sogno fatto la notte fra il primo e il secondo giorno di residenza.
Ho sognato le mie gambe essere rami, ed aggrapparsi (attorcigliarsi) a una scala. Le mie gambe erano tanto forti da rimanere stabili, il mio corpo in pendenza rimaneva forte, nonostante sotto di me il canyon chiamava la mia caduta
—
Tempo: 11.06.25 ore 18:35
Spazio: Via Roma, camminando verso il teatro.
Reporter: Francesca
Colgo una sola frase di un capannello di anzianə:
“Eh, un minuto. In un minuto non fai neanche a tempo a metterti a sedere.”
Immagino le loro scommesse.
—
Tempo: 11 giugno 2025 ore 9.05
Spazio: Sentiero 049
Reporter: Barbara
Giorno 3:
Luna piena in Sagittario
ho la sensazione che qualcosa stia accadendo
sono nella traiettoria della vespa
sinché non emerge la verità, tutto tace
se si rivela, diventa apocalisse
ma nel bosco
ogni presenza trova assenza
Bagno-doccia del teatro
ore 17.31
processo di osservazione alla performance Senza Fine:
Alle ore 17 è stata presa in considerazione la fragilità dell’uovo
Alle ore 17.30 è stato deciso che lo stato di fragilità dell’uovo sarà compromesso
pensieri liberi su performance C’è sempre tempo:
un potere non è necessario
senza odio o amore
oscillo tra
un’immagine ci unisce
un’azione ci identifica
un ruolo ci interroga
forse
raccogli la luce
riportarla tra le mani
fammi vedere
il suo corpo morto
oggi è la cosa più interessante
che abbia visto
il suo corpo morto
mentre mi guardi
Santa offri
il potere di deludere
per fare rinascere
—
Tempo: 11.06.25 ore 10.54
Spazio: camerino
Reporter: Pauline
Questo tempo preciso mi ha fatto innamorare di ogni singolo gesto, movimento, azione.
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Tempo: 11.06.25 ore 11.30 pm
stiamo guardando la luna (delle fragole) luminosissima
Reporter: Marta
chiedo ad Alessia di darmi una parola per oggi :
<< ho fatto un pensiero riguardo all’essere attraversato >>
e mi dà un bacino sulla guancia destra
bevo del succo con Elhaz
mi dice che l’ha colpit la quantità di cose che ci siamo dettə e il potere della collettività
-la conversazione è preceduta da un gioco di carte “io sono te”
Alessia e Elhaz mi donano la chiave di lettura per la giornata che ancora non avevo trovato. Rumore e brusio, silenzio e pace si sono costantemente alternati nello scorrere del mio tempo sole.
La collettività gruppo mi attraversava con il suo rumore e brusio scontrandosi con la necessità di silenzio e spazio che la mia persona chiedeva, per poi adattarsi, accogliere, abbracciare e aspettare. Trovare il silenzio in loro.
Ci chiediamo come siamo mortə nella nostra vita passata.
Raccontiamo le nostre esercitazioni performative.
Ci passiamo la macedonia in segno di azione collettiva e di cura.
Stamattina la meditazione non mi è stata amica, stasera la meditazione mi tende la manina.
—
Tempo: 11 giugno 2025 11.55pm
Spazio: Dal van
Reporter: Alessia
Collettivo Cinetico mi ricorda quanto è bello Giocare. Tra il divertimento e l’innocenza del bimbo e la strategia di chi prova a conoscere i misteri della vita, per poi apprendere a camminare a testa in giù.
Giochi o non giochi?
E quando dici di sì sei dentro e in quel dentro c’è il tutto e quel tutto è la vita.
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Tempo: 11 giugno 2025 00:02
Spazio: Dal mio letto, in stanza con G e Poppi che dormono
Reporter: Sara
Abbiamo fatto un gioco,
Pesco 2 volte e due volte mi escono domande da fare agli altri su di me.
“Cosa vedete di voi stessi in me?”
Tutti i presenti mi rispondono:
Visionaria
Malinconia
Vuoto
Cura
Gentilezza
Pazzia
Tenerezza
Desiderio di non sentire così tanto
Determinazione
Pensavo prima in doccia, quanto sono fortunata ad avere così tanta diversità intorno a me.
Mangio con gli occhi ogni dettaglio, fotografo nei miei muscoli ogni sensazione,
registro con la pelle ogni emozione.
Quanto siamo diversi
Quanto siamo però accomunati.
Quanti fili rossi posso avere?
20 minuti di prime volte “senza fine”
Oggi sono andata in scena come performer per uno spettatore.
Oggi sono andata in scena in una doccia.
Oggi in scena ho lavato una persona nuda.
Oggi in scena ho leccato un uovo crudo.
Oggi in scena performavo con un 100 piedi.
Oggi in scena ho spogliato una persona completamente.
Oggi in scena mi sono spogliata completamente.
Oggi in scena ero in scena.
Oggi in scena ero loro.
Oggi in scena ero bambina.
giovedì 12 giugno – GIORNO 4
Tempo: 12/06/2025 ore 23.51
Spazio: Scale della casetta
Reporter: Ilaria: rea
Oggi abbiamo iniziato la giornata facendo colazione (almeno io). mi sono svegliata presto, ho fatto colazione insieme a Babi, Jaci e Sofi con cui sono poi andata a fare una passeggiata a mondaino. Passeggiando per il paese abbiamo incontrato Francesca,Angelo e Carmine che uscivano dal portone del centro giovani.
Una volta tornate ci siamo preparate per andare a fare meditazione in teatro.
alle 9.20 stavo scendendo il vialetto per andare a fare mediatazione. Dopo un po’ Francesca ha iniziato a guidare la meditazione , chiedendoci di fare attenzione agli odori e di aprire il senso dell’olfatto per poi passare a visualizzare sul nostro corpo un’area fiorita. Lo step successivo era immaginarsi fiori per poi aprire gli occhi e vedere i fiori dell* nostr* compagn* e vedere il campo fiorito da noi formato.
Una volta aperti gli occhi e sgranchito il corpo ci siamo spostate in teatro e abbiamo fatto un esercizio per risvegliare i vari strati del corpo , partendo dalla pelle, sentendola sul pavimento, fino ad arrivare alle ossa e alla variazione di peso che non doveva essere faticosa a livello muscolare ma organica, in oscillazione continua (per me è stato difficilisssssssimo). Poi abbiamo chiuso gli occhi e ci abbiamo iniziato a cercati per prenderci le mani e formare un cerchio, tutto ad occhi chiusi. Abbiamo creato un bellissimo cerchio. (…)
Dopo pranzo abbiamo giocato l’ultima partita di cinetico 4.4 (io ero con jaciara, chiara e pauline). Dopo le partite e finite tutte le performance dove sono successe varie cose tra inseguimenti e spostamenti di furgone ci sono state date le consegne per il giorno dopo:
-il silenzio tra di noi comincerà da domattina appena sveglie ( quindi dal momento in cui vai a letto) facendo attenzione a cercare di ricordare i sogni della notte. E poi abbiamo scoperto di avere tutt* la randomness, e che domani scopriremo i nostri inneschi (per cui vorrà). Poi un oretta di preparativi per fare apericena nella piazza di mondaino dove abbiamo bevuto, mangiato e guardato la luna delle fragole tutt* assieme.
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Tempo· 12/06/2025 ore 18:05
Spazio: salita
Reporter: Sofia
Mentre facevamo la performance sulla salita (Sara performer e creatrice, spettatrici Marta Sabri e Alessia) è arrivato un furgoncino che doveva scendere, Angelo è venuto, ha spostato il furgone ma la performance ha continuato ad andare, il furgone è stato messo giù e poi riportato su, ma la performance è rimasta performance, è stato magico, l’imprevedibilità crea cose speciali
Angelo è riuscito a vedere e partecipare ad un pezzo di performance, il caso lo ha fatto partecipare, e lui ne è stato felice.
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Tempo: 12.6.25 ore 18:14
Spazio: Via Borgo, diretta verso il teatro.
Reporter: Francesca
Trovo questo biglietto della fortuna.
Lo lascio lì, perché possa parlare ancora ad altri corpi.
Perché forse parla dei nostri corpi di ossa che si smontano e rimontano nell’inerzia di questa mattina.
E di tutte le cadute che verranno tra coreografia e vita.

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Tempo: 12.06 ore 23.40
Spazio: Esterno casetta
Reporter: Barbara
quanto si fa
per se stessi
è il disegno che si fa del mondo
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Tempo: 12.06 Ore 10.55
Spazio: sotto al portico
Reporter: Pauline
Mentre meditavo si sono sciolte delle lacrime, una lacrima è scivolata lungo la guancia al mento al collo fino al petto, dove si è dissolta. quando ho riaperto gli occhi le lacrime avevano unito le ciglia che sembravano dei petali di fiore in linea con le parole di Francesca
Ore 00.43, sedia vicino alle camere da letto
Dopo l’aperitivo alcun* di noi sono tornat* a casa dal bosco, cantando e tenendoci per mano, eravamo circondat* dalle lucciole, abbiamo chiesto il permesso al bosco di attraversarlo. Per me avrebbe potuto durare ore quella passeggiata!
—
Tempo: 12.06 Ore 22.44
Spazio: Bar a Mondaino con tutti
Reporter: Sara
Guardo Babi ascoltare distrattamente attenta, attraverso la mano gesticolante di Francesca.
Gioca con una ciocca di capelli RICCI.
Penso che è molto bella.
Scrive poesie allora gliene scrivo una.
Ogni riccio un capriccio
Capricc
Io
Io
Chi sono io senza l’altro
In fin dei conti sarei il niente
Te
Io e te
Tu e me
Aggrovigliata
Appesa
Cammina decisa
In bilico
Appesa ad un capello
Salda
Mi lancio da questa liana
Atterro
Non mi serve la posta d’atterraggio
00.47
Divano della casetta
Sono pervasa di energia cinetica.
Non riesco a fermare i pensieri, gli stimoli, le sensazioni, le emozioni.
Questa mattina io e la meditazione abbiamo combattuto in silenzio.
Mi è bastato uno sguardo e un compagno mi ha accolta e ospitata in fianco a lui sul suo tappetino, vicino al muro, mi sono sentita accolta e protetta da lui, dalla terra e dalle spalle del teatro.
Ho combattuto anche con le “candele” che mi scendevano dal naso, costantemente. Quel solletico, bruciore e fastidio snervante in contrasto con quel prato fiorito che vedevo e sentivo intorno a me.
Il cerchio, ho riconosciuto tutte le mani incontrate e tese in cerca di incontri.
Avevo caldo e mi sono tolta la maglietta durante lo yoga, nessuno mi guardava male per questo, e nemmeno io l’ho fatto.
“Siamo nella stessa lacrima, come un sole e una stella, luce che cade dagli occhi, sui tramonti della mia terra.”
Sono in scena insieme a voi, la mia mano si muove, danza, segna il foglio come voi segnate il palco, l’aria e il tempo.
I vostri corpi sono così grandi che non mi basta un A3.
Da bambina alle mie feste di compleanno obbligavo tutti ad inventare una scenetta da mostrare ai genitori quando sarebbero arrivati a prendere i rispettivi fogli. Questa consisteva nell’aprire la “scatola degli stracci” di mia mamma e creare dei vestiti il più strani possibile.
Spoiler: ho 5 amici, mi ricordo più le scenette che i soffi sulle candeline ma direi che col senno di poi va benissimo così.
Tutti i migliori sono matti, diceva…
Il sole è una cazzo di palla di fuoco
La luna è una cazzo di palla di fragole
Ho vinto,
Sono ariete dicono.
Si scherza ma
in fin dei conti crederci funziona davvero forse?
È bello sapere che qualcuno sorride di te,
Per te.
È bello sapere che qualcuno sorride grazie a te,
Con te.
Non ringrazio mai abbastanza.
—
Tempo: 12.06 Ore 1.05
Spazio: dal letto sopra a Babi
Reporter: Sabrina
Non riesco ad addormentarmi.
Povera babi che sente il mio rigirarmi inquieto.
Penso che sono grata d’avere momenti lenti in cui apprezzare la luna di Fragole che si sostituisce nel cielo alla palla infuocata del sole al tramonto.
Fra 18 anni dirò che l’ultima luna di Fragole l’ho vista con voi.
—
Tempo: 12.06
Reporter: Franca
11’20, scale della platea dentro il teatro.
Esercizio dell’ape regina.
Un’altro senso in meno.
Ho il terrore.
Ma mi è stato detto che è tutto ok.
Posso scegliere.
È ansiogeno.
Ma perché?
Io lo so perché, certo, ma qui non mi fa del male nessuno.
Non mi distingue nessuno.
Non si allontana nessuno.
È tutto così calmo che neanche una spina mi farebbe male.
Canto parole per invocarti,
Piango parole per sussurrarti che ho bisogno di te.
E tu mi sorridi, perché sai che per me resti eterna.
Chissà cosa c’è,
E chi c’è,
Ma noi abbiamo il dono dell’immaginazione.
01’43 13/06
Camera da letto
La complicità nella semplicità.
Vorrei prendere la chitarra e potervi dedicare ad ognuna una canzone.
Con occhi sereni.
Ore 01’14, letto a castello sopra Marta.
Stamattina mi sono svegliata che stavo male.
Mi sono arrivate le mestruazioni,
mi chiedo sempre perché mi arriva sempre nei momenti meno opportuni, poi mi chiedo, ma qual’e il momento giusto per averlo?
Vabbè,
prendo gli integratori, sicuramente mi aiuteranno ad affrontare la giornata.
E invece no.
Durante la meditazione, inizio a sentire un bruciore interno, il fegato mi stava dicendo che il mio corpo stava male e doveva sfogarsi esternando in quale modo.
Non sapevo come fare.
Sono una persona molto ansiosa, e non riesco a stare ferma.
Mi agito, tremo, sudo.
Il mio cuore inizia a battere più forte.
Il mio bruciore inizia ad essere sempre più intenso, fino a salirmi alla gola.
“Non riesco” penso.
“Adesso mi alzo, interrompo tutto e corro in bagno” ripenso.
Nel mentre il bruciore inizia ad espandersi nella mia gamba destra e nelle braccia.
“Non so cosa fare” penso.
Lunedì me ne sarei andata. Ma mi sono fatta una promessa, riuscire nel mio piccolo a controllare la mia ansia, partendo dalla cosa più difficile per me, la meditazione.
Resto ferma, immobile. Penso “adesso non pensare, non succede niente, è solo nella tua testa”.
Ad un certo punto lo sento.
Sta svanendo.
Il bruciore si è arreso, e ha smesso di combattere contro la mia ansia.
Ho riaperto gli occhi al via di Francesca, e sono tornata ad essere io.
Grata per il mio corpo.
Stamattina mi sono svegliata che stavo male.
Stasera finisco la giornata con il cuore sereno.
venerdì 13 giungo 2025 – GIORNO 5
Tempo: 13.06.25
Reporter: G
Stamattina al risveglio vigeva già la regola dell’assoluto silenzio (sia di parola che di gesti).
Sces* in teatro abbiamo trovato la scatola con i bigliettini della randomness e abbiamo cominciato la meditazione rivolt* al bosco, alcunə sedutə sui cuscini, altrə sulle sedie, liberamente. Dopo un tempo, Francesca ha guidato la meditazione (tutte le cellule come bacini d’acqua) e lo scioglimento, invitandoci a prendere un tempo di contemplazione del bosco e a mantenere una lentezza fino al rientro in Teatro. Ancora regnava l’assoluto silenzio.
Il Collettivo ci ha spiegato che alle 13.25 ci saremmo immobilizzat* in un punto del bosco e di scattare una foto una volta che avessimo sciolto la posizione per poi andare a pranzo. Alessia ha tenuto la posizione circa 50 minuti.
Pomeriggio
Ultima performance, ci spiegano come parte la gara dell’immobilità, senza dare un inizio preciso, arriverà in un momento x.
Verrà suonato il gong e una canzone scelta dal gruppo su 4 brani. (Scelta la canzone di Gigi Dag).
Ad esercizio inoltrato viene suonato il gong e comincia la canzone Gigi Dag che segna l’inizio della performance dell’immobilità. Piano piano le persone cominciano a lasciare la scena (seguendo per bene le istruzioni) finché rimane il trio Sara, Jaci e Sabri. Le tre figure formano un triangolo sul palco. Jaci in posizione di preghiera, Sabri di fronte a lei la guerriera con i pugni sui fianchi, Sara di spalle al pubblico in torsione. Sara è l’ultima performer che rimane sul palco, mantenendo la posizione per quasi un’ora.
Il gruppo è visibilmente emozionato e scosso, c’è silenzio.
Sabri va in randomness nel corridoio del teatro e viene trasportata in braccio fino ad essere distesa sul tavolo all’esterno, al centro dove ci si scambiano i feedback di cosa si è pensato e provato, gli ultimi aneddoti, le ultime suonate di campanello, le ultime danze e i saluti.
G.
—
Tempo: 13/06 ore 14, pausa pranzo
Spazio: gradinata dentro il teatro.
Reporter: Franca
Dice il mio nome,
Non lo sento subito,
Poi mi accorgo,
Cado,
Precipito,
Petali sul mio corpo che si sono trasformati in pelle.
Ho tenuto un controllo che spesso fatico.
Immobile, tra svariati cuscini, fuori e mandorle e carezze.
Mi sento un fiore,
Annaffiata da acqua e amore.
La cura altrui per il mio corpo.
Sento un bruciore tra le mie scapole, voglio muovermi, ma resisto.
Immobile.
Ancora tanto bruciore tra momenti di distrazione nella mia mente.
Mi sveglia.
In teatro, avvolta da petali e dall’acqua ormai asciutta.
Non so cosa dire.
Non so cosa pensare.
So solo che non so.
Mi sento altrove.
Come se fossi resuscitata e nessuno mi vedesse.
Osservo tutti che sono in una posizione immobile, mente io mi sono sciolta.
Si è ribaltato tutto.
Loro adesso sono me.
Io sono loro.
🕛23’48
📍letto a castello sopra Marta senza Marta
Penso al silenzio di stamattina.
Mi vergogno un po’ a dirlo, ma penso anche che sia un percorso che serve anche per una crescita personale.
E quindi, continuo.
Tutti in silenzio, tutti con lo sguardo verso il basso.
Due sentimenti mi contraddistinguono.
Per una volta, ho avuto un momento di sollievo pensando che non avrei avuto quella sensazione di disagio nel non capire cosa una persona stesse dicendo.
Sollievo.
Anche se è lecito chiedere di ripetere ciò che dice una persona.
Ma ogni persona ha il suo modo, giustamente.
Non siamo tutti uguali e consapevoli.
Sollievo che si trasforma in sensazione negativa.
In mezzo a molt* person*, sguardi abbassati, silenziosi, con il tempo che scorre.
Una sensazione, che conosco molto bene.
Respiro affannoso.
Lo conosco già.
Molto bene.
🕛 00’04
📍letto a castello sopra Marta, con Marta.
Sentivo chi stava male oggi.
Sentivo il mio cuore che si stringeva.
Volevo abbracciare.
Ma lasciavo il suo spazio.
Non riuscivo più, la mia schiena bruciava, ogni mia cellula si stava sgretolando, sentivo tutto.
Osservo chi ho vicino,
Osservo chi ho lontano mentre mi tolgo la mia maschera, volevo piangere.
La mia salvietta ha tolto la maschera.
Sono pronta.
Ho pianto vedendo immagini.
Jaciara che prega per una società migliore.
Sabrina che non si piega davanti a niente.
Sara, con il suo tremolio interno, la sentivo.
Il suo corpo nel mio, non vedevo i suoi occhi, ma il mio cuore si.
Sapevo che avrebbe mantenuto la promessa al suo corpo.
Ha vinto, perché è Ariete, e ho imparato questa settimana che loro non mollano anche se cadono mille volte.
Anche se non avevo bisogno di sapere che l’ariete è così.
Già lo sapevo.
È un gioco di corpi.
Di sensi.
Di sensibilità.
Si conclude.
Ma resta una scia di emozioni infinite.
Resta il ricordo.
Con il cuore e la mente più ricca.
—
Tempo: 13.06 Ore 8.40
Tavolo fuori dalla cucina a colazione
Prendo il pacchetto di biscotti dalla dispensa, lo porto fuori, lo apro, era vuoto.
Marta prende il vasetto di nocciolata, lo apre, era semi vuoto.
Uso la marmellata, cambio coltello perché sotto c’è il burro d’arachidi, se no Sabri non può mangiarla più.
Con le parole non si sarebbe capito più un cazzo.
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Tempo: 13.06.25 Ore 9.17
Spazio: Appoggiata alla metà della staccionata del vialetto che porta al teatro.
Reporter: Ilaria
Mi guardo intorno ed è tutto bellissimo.
—
Tempo: 13/06/2025 22:13
Spazio: divano di mia nonna a Casalbono
Reporter: Sofia
È incredibile come un corpo fermo possa fare più rumore e generare più movimento di un corpo in movimento fisico certe volte, provare e vedere l’estremo sforzo, il corpo che si mette alla prova fino a cedere, spogliarsi nella sua fragilità, e disarmante, quando Sara è uscita, dopo il suo estremo sforzo, e il palco è rimasto vuoto, ma ancora pieno della nostra presenza, sono scoppiata in un pianto incontenibile, è successo qualcosa di incredibile oggi, e più ci penso e più mi sento grata di condividere questa esperienza con persone così meravigliose e diverse fra loro, poter vivere dei luoghi così preziosi e speciali, in cui il tempo si ferma, e c’è un’immersione completa che ci permette di fare quello che amiamo per tutto il tempo, è un privilegio gigantesco
Penso anche a ieri sera, scendere per il bosco di notte cantando tutte insieme e facendoci forza, ammirando le lucciole, che illuminavano il bosco, mi ha riempito il cuore
13/06/2025, 22:19, sempre divano di mia nonna
Tante coincidenze sono avvenute questa settimana, e non penso siano solo coincidenze, credo nel destino, e credo parli sempre tanto
Cosa ho provato nell’immobilità? Pensieri vanno e vengono, mi concentro su un pensiero ossessivo, poi sento che il mio corpo sta tremando, poi si placa, poi sento che sta diventando più caldo, mi concentro su di lui, poi sento la mia aura espandersi, quasi trascendo il corpo per un attimo, mi sentivo una statua, ricomincio a tremare, ad un certo punto il mio mignolo mi ha tirata e i miei occhi si sono aperti.
—
Tempo: Giorno 5 Tra le ore 8.30 e le 22
Spazio: Inizia nel sentiero fronte teatro finisce in cucina a Bologna
Reporter: Barbara
Alla fine
le parole non servono a niente
servono all’inizio
nel mentre e a 3/4
ma alla fine
l’esperienza vive
è
non ha bisogno di dire niente
—
Tempo: ore 8.08
Spazio: nel letto a castello
Reporter: Chiara
parte il silenzio e le cadute nel vuoto.
ho paura di dimenticare, ho paura di lasciare questa sensazione di presenza che sta là dentro la pancia.
grazie a dio ho dei testimoni con me
grazie a dio non sono sola
se casco oggi qualcuna mi risolleverà
chissà quando, chissà dove
ore 22.27 arrivata sul divano di camera mentre aspetto il falafel
ho aperto gli occhi e ho abbondato la posizione
mi sono sentita perdente, potevo tenere di più
dentro di me pensavo “ancora un’altra canzone” ma poi ho ceduto anche alla curiosità di sapere chi rimaneva e chi era andato via
mi siedo e non mi sento più perdente
ci sono loro e loro stanno vincendo anche per me
sento la schiena di Sara che parla anche per me
sento le mani a preghiera di Jasi che pregano anche per me
sento Sabry che combatte anche per me
Sara ha vinto ma ha vinto anche per noi
—
Tempo: ultima giornata: venerdì 13 giugno 2025 Ore: 11.10pm
Spazio: inizio a comporre questo messaggio nel mio van
Reporter: Alessia
Silenzio.
Meditiamo.
La rosa che ho davanti ha la faccia di un elefante. Poi penso ai fiori con le facce nel cartone ‘Alice nel paese delle meraviglie’.
Le formiche vanno più veloci del mio dito indice che si allunga per toccare il cielo.
Mi sento grata e felice, perché riesco ancora a ridere.
Considero allo stesso modo sofferenza e gioia e in questa danza del Tao a volte mi perdo.
Immobilità, in mobilis, senza mobilità e allora cosa rimane?
Vita.
Siamo io e l’ albero.
Sono io e l’ albero.
Sono io albero.
Sono albero.
Sono.
E in questa sottrazione aggiungo vita.
Pensiero intrusivo: biscia nera nel bosco.
Dai reni sale una scossa di paura sudata che mi tocca le mani.
Sto.
Il suono del campanile scandisce il tempo.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
“Rimango ancora fino al prossimo dong”.
Sono le 14.20.
La famiglia accoglie il ritorno della figlia dalla guerra. Piango il non detto.
“Caffè?”
Morta.
“No povera Alessia, risvegliamola!”
“Amo, ritorna tra noi!”
“No, mettiamola in una posizione più comoda!”
“Ma io le ho riscaldato il sugo!”
“Se sta ferma un altro po’ schiatta!”
“Io la sveglio”.
Cinque, quattro, tre, due, uno.
La loro danza mi bussa agli occhi, decido di farla entrare.
Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno.
Mi parte un dito, una gamba, una mano, il bacino.
E poi arriva lui: Gigi D’ Ag.
Immobilità, in mobilis, senza mobilità e allora cosa rimane?
Vita.
Siamo io e la musica.
Sono io e la musica.
Sono io musica.
Sono musica.

sabato 14 giugno 2025 – GIORNO 5 +1
Tempo: 14.06 Ore 8.23
Spazio: dal mio letto nella casa in cui vivo a Bologna accanto al mio partner che dorme.
Reporter: Sabrina
Non so per quale motivo ma prima di scrivere di ieri ho voluto aspettare di essere sola o almeno l’unica sveglia. Certe cose se non le vivi non le puoi capire. Sento che ho dei segreti che voglio rimangano segreti.
Report 13/06/2025
Ero terrorizzata, non l’ho detto perché non lo dico mai ma abbandonarmi con fiducia all’altro è qualcosa di impensabile per me. Il silenzio della mattina mi ha costretta a tacere questa paura lasciandomi con il desiderio di urlarla. Così ho lasciato urlare il mio corpo tutta la giornata.
Insieme a Marta sul palco e con tutti i vostri visi attorno, insieme agli alberi nel bosco che erano diventati parte di me e io di loro.
Pomeriggio
Sento già nell’aria un’elettricità diversa. Forse perchè è l’ultima volta.
Ci prepariamo per affrontare l’apocalisse che sta arrivando.
Non sono sola, lə guerrierə intorno a me combattono con me, per me, attraverso di me.
L’ultima danza è di una bellezza disarmante, lascio che i miei occhi piangano d’amore vedendo le stagioni attraversare i corpi dellə mie compagnə che fioriscono in attesa dell’inverno.
Ho paura.
Arriva il gong e l’apocalisse cala il suo velo su di noi.
Penso che sono fortunata per la posizione che mi è capitata.
Penso che questo pensiero mi accompagna nel privilegio della vita che mi è capitata.
Aspetto una canzone, un’altra e un’altra ancora.
Il mio corpo urla, i piedi radicati a terra bruciano. Respiri profondi, non li sento più, ma va tutto bene, sento il resto del corpo che è presente e sento tanti corpi che sono lì a sostenermi a combattere per me, con me, attraverso di me.
È un combattimento di resa. Immagino di muovere le dita ma non lo faccio, immagino di togliermi una mosca dal collo ma non lo faccio. Il solo immaginare muove il mio corpo nello strato più profondo ed interno.
Comincio a fluttuare attorno al mio corpo che mi tiene stretta in quei pugni, chiusi da così tanto tempo che penso di non riuscire ad aprirli mai più. Come uno strano palloncino ad elio legato ad un filo.
Sento le statue delle mie compagne vive intorno a me. Non sono sola. Non lo sono mai stata.
Un’altra canzone, ancora un’altra canzone.
Mi sento forte, nella vita combatto sempre, ma questa guerra è diversa mi devo arrendere. Mi devo arrendere alle mie sensazioni, alla fiducia che ho in me. Forse è che ho poca fiducia in me per certe cose.
Una canzone, un’altra canzone.
Non posso mollare, ci sono persone in posizioni sicuramente più dure della mia, non posso mollare. La mia sofferenza può aspettare. Può sempre aspettare.
Dietro alle palpebre si alternano immagini e colori e mi aggrappo alla musica come unica possibilità di salvezza.
Un’altra canzone, ancora un’altra canzone.
Sento che il filo del palloncino che mi collega al corpo si sta tendendo troppo, quasi si spezza, sento che rischio di non poter tornare mai più indietro.
Ripercorro il fragile filo e ritorno nel corpo, che trovo come una casa che ha resistito ad un bombardamento. Grazie che sei ancora qui. Tremo fortissimo. Respiro profondamente per mandare ossigeno alle estremità ma non basta più.
Ho resistito tanto. Sono stata brava. Ora torno dalla guerra, ho una famiglia che mi aspetta.
Apro gli occhi pianissimo e vedo che siamo rimaste in tre. Subito si appannano di lacrime di gratitudine, sollievo e amore, per gli altri e per me.
Il corpo è come corteccia rigidissima, non lo riesco a muovere, le dita non si aprono più.
Piano piano riesco a voltarmi e vedo i visi dellə guerrierə che hanno combattuto prima di me questa guerra di resa e piango perchè sono bellissimə e le ho sentite nelle mie radici tutto il tempo.
Tolgo la maschera e torno alla vita, ma effettivamente l’apocalisse un po’ il mondo lo ha cambiato.
—
Tempo: 13.06 Ore 9.54
Spazio: Sono sul divano di casa mia (il più scomodo mai stato progettato) a Bologna
Reporter: Ilaria
Vi penso e le lacrime mi raggiungono un’altra volta gli occhi, smetterò mai di commuovermi con voi?
Vi vedo in cucina dalla finestra
suona il posacenere
silenzio.
Vi vedo in teatro contro la luce del bosco
E siete voi
Ho tremato con voi
Sono stata con voi
E sono ancora con voi
Ho sentito l’immobilità che non mi è mai appartenuta non appartenermi mai, li ho sentiti i nostri piccoli movimenti, le vibrazioni dei nostri corpi insieme in un unica esperienza, il freddo pavimento, le vostre scuse non dovute, la bava che si accumulava creando quel lago calmo nella mia bocca adesso reale. Poi il risveglio è improvviso pianto. Sostegno ho ricevuto mai abbandono.
Vi ho vist immobili nel bosco, resistere e resistere e resistere. Restare.
Poi il pranzo e la fine, accoglienza in un silenzioso applauso e il pianto, che potenza.
Sto ricordando dimenticando il tempo, tutto ciò che è successo è un’unica linea che mi attraversa il corpo e ogni esperienza ne è una parte. Siete dentro di me adesso.
Ci siamo sentite, ci siamo accolte e lotteremo insieme.
Non vedo l’ora.
—
Tempo: 13.06 Ore 10:16
Spazio: scrivo dalla cucina di casa mia a Bologna, mentre faccio delle crepes per me e il mio partner, con gli occhi ancora un po socchiusi e confusi, e la canzone della pratica mattutina del Qi Gong nella testa
Reporter: Elhaz
Immaginando una realtà in cui tutti i miei giorni siano condivisi di lacrime, sorrisi e condivisioni sincere.
Nella mia testa scorre un affetto per una realtà diversa, una speranza. Vedo nei loro occhi frammenti di me, vedo che loro scrutano qualcosa di loro, in me. Mi riconosco.
Il mio movimento corporeo è inevitabilmente cambiato, sento ogni singola cellula.




domenica 15 giugno 2025 – GIORNO 5 + 2
15 giugno
ore 11.37 cucina di Bologna
ripercorrendo appunti:
Pensieri ricorrenti durante le meditazioni:
Reporter: Barbara
Giorno 1: per fare stare ferma me ci vuole un esorcista
Giorno 2: devo assolutamente rubare due cuscini dal teatro e usarli anche a casa
Giorno 3: __________________
Giorno 4: __________________
Giorno 5: la vera rivoluzione non è dover fare ma stare
Stai in quello in cui stai
+ questa mattina durante la meditazione vi ho sentito tutt*
Grazie, siete entrati nel mio silenzio
—
Tempo: 13.06 Ore 12.16
Spazio: buche di pianoro, sponda destra del fiume.
Reporter: Sabrina
Pensiero per i cinetici
Venerdì dopo l’apocalisse non sono riuscita ad esprimere bene quello che sentivo, era talmente forte che mi ha un po travolta. A distanza di qualche giorno forse riesco ad afferrare i miei pensieri più lucidamente.
Grazie.
Grazie per la cura e l’impegno che ci avete dedicato.
Grazie per la generosità con cui ci avete dato dei pezzettini del vostro mondo.
Grazie per la sensibilità con cui ci avete ascoltat*.
Grazie ad Angelo per la sua presenza gentile.
Grazie a Carmine per l’organizzazione puntuale e la dolcezza dei gesti.
Grazie a Francesca per la sua guida tranquilla ma sicura che mi ha portata in profondità dentro di me, in tutti gli strati del mio corpo e mi ha lasciata piena di fiducia per quello che verrà.
Grazie perché mi avete ispirata ricordandomi che giocare è un mezzo potentissimo per entrare nella complessità fisica, sociale e politica di ciò che ci circonda, e quanto può essere divertente e profondo stare al gioco.
Spero che ci sia presto occasione di rivedersi e lavorare insieme.
Intanto Grazie.
È stato meraviglioso.
Tempo: 13.96 Ore 12:58
Spazio: in cucina con mia cugina a Cesena
Reporter: Sofia
Ieri mi è mancato lo yoga tutti insieme al mattino, ho sentito il bisogno della vostra presenza, di quella pratica quotidiana, per il mio corpo e per la mia mente
Mi avete lasciato un segno dentro, e credo che non riuscirò mai ad abbandonare tutto completamente
Nel pomeriggio ho visto il mio trigger, ma non mi è venuto da andare in Randomless, era come se non fosse il momento giusto, ci ho pensato, ma non sarebbe stata la stessa cosa finirci senza voi attorno, senza percepirvi, ho deciso di interromperla, un pò a malincuore
Credo che inizierò a meditare un pochino ogni giorno, è una cosa che fa stare bene, ed un modo per sentire ancora le vostre energie anche se siamo in luoghi diversi.
—
Tempo: 13.06 ore 10.10, Ravenna
Spazio:sul materassino gonfiato a bocca di un pavimento sconosciuto
in casa: G, Sara, Franca
Reporter: Marta
qualcuno suona il campanello e il mio corpo si blocca per un istante, mi rendo conto di essermi fermata nell’immobilità del teatro foglia
di non essere pronta all’agilità metropolitana, di non essere pronta a scandire il tempo in modo orizzontale
Ho visto i vostri volti a Pennabilli, sentito le vostri voci
(letteralmente)
ogni persona era immobile ed era voi, ogni albero attraversato ci guardava e non si muoveva
come se tutto stesse giocando, e giocava con noi
ore 10.17 sono ancora immobile nell’immobilità
—
Tempo: 13.06 Ore 22.
Spazio: Ferrara
Reporter: Jaciara
Questa mattina mi sono svegliata con il mio coinquilino arrivando a casa alle cinque di mattina e la voce di Francesca Pennini nelle mie orecchie dicendo che chi aprisse la porta prima vinceva la gara!
😅🌈✨
Axé
martedì 17 giugno 2025 – GIORNO 5 + 4
21:01
“Se tutto ciò che abbiamo fatto evaporasse, che si trasformi in acqua piovana e che mi bagni… così che evochi qualcosa nel mio corpo che richiami alla memoria.”
Jaciara
venerdì 20 giugno 2025 – GIORNO 5 + 7
Tempo: 20.06 Ore 13:43
Spazio:letto della mia stanza a Bologna.
Reporter: Elhaz
Le cicale che cantano fuori, il ventilatore che scorre sui peli delle mie gambe, una stanchezza che cade sulle mie palpebre. Stamani mi è capitato di raccontare e riflettere su quello che le persone ci dicono e che spesso, può parlare davvero di noi.
Sono già quello che l* altr* vedono in me? In che spiraglio della mia coscienza esistono le mie altre persone interiori, convivono? In che stanze, luoghi, corridoi? Come parlano di sé stesse e con le altre mie parti?
E ricordo, quando una sera nella notte con le stelle che brillavano in cielo, eravamo sedut* tutt* attorno a un tavolo. A condividermi, a condividerci. A vederci nel gioco che non è stato più tale, ma verità. “Io sono te” sono le parole del giocare di quella sera. I vostri occhi mi hanno parlato, riporto e ricordo ciò che mi avete detto, e visto della mia essenza. Le vostre parole sono intessute nella trama della mia memoria, e riportavano quanto segue:
Una pozza blu viscosa con i brillantini argento
Pacifico oceano
Verità
Cavalluccio marino
potere negli occhi
Vedere cosa sta nel mezzo
Sensibilità
Spirito libero
Metamorfosi
Multiforme
Mi destabilizzano, e sento che parlano di me con parole così precise che non so ancora leggerle.
Grazie
domenica 22 giugno 2025 – GIORNO 5 + 9
Tempo: 22.06 ore 09:16
Spazio: Poltrona in camera mia – Milano
Reporter: G
Sto sedimentando.
Torno su questo gruppo per emozionarmi delle vostre parole, grata.
Non so come esprimere la mia incredulità.
venerdì 27 giugno 2025 – GIORNO 5 + 14
Tempo: 27.06 ore 10.24
Spazio: panchina sulla costa della Manica, Veulettes-sur-Mer, GR21
Reporter: Marta
camminando ritorno all’immobilità, sento di non aver ancora chiuso il suo cerchio.
Cammino e penso a ciò che separa il camminare dall’inattività: monogamia e poligamia.
Immobilità come azione monogama, dedizione a una scelta, un’azione con un inizio e una fine. Esperienza pluriforme all’interno della monogamia ma subordinazione alla stasi. Relazione intima di fedeltà al corpo fermo al cui interno si scatenano eventi, pensieri, drammaturgie.
Camminare come azione poligama amplificata e rivolta a più azioni e sequenze, laterali e non: tanti inizi e tante fini. Una collettività di capitoli che compongono l’uniformità dell’azione camminata.
Relazione con il mondo esterno partecipe all’innestarsi di nuove e diverse drammaturgie.
È bello pensare alle azioni corpo come a relazioni intime.
domenica 6 luglio 2025 – GIORNO 5 + 23
Tempo: 6 Luglio, 06:53
Spazio: cucina di mia nonna
Reporter: Sofia
Ricordo il sogni che ho fatto, e ricordo Francesca, ho sognato che venivamo a vedere l’applicazione di un vostro spettacolo su un altro gruppo di formazione, questa volta bambini delle elementari, e c’era Francesca con i capelli più lunghi (spalle) e con la frangia, e anche Angelo è Carmine c’erano, e ci aveva fatto così piacere ritrovarci tutti, c’è stato un grande abbraccio
Riprendo la parola dopo questi spiragli su un percorso che è stato trasformativo anche per noi cinetici, anche per me alla guida.
Ci sono state lacrime bellissime e segni indelebili. Forse saranno state le nostre lunghissime immobilità a impressionarsi nel bosco e nei corpi.
L’ultimo giorno, l’ultima performance, ha avuto davvero la forza di un’apocalisse.
Grazie alle partecipanti per aver condiviso queste parole e per aver giocato, sperimentato e rischiato con generosità, poesia e divertimento.
Ora ci ritroviamo nel mondo.
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con Chiara Andreoni, Luwam Aldrovandi, Elhaz, Sofia Gattamorta, Sara Gaboardi, Pauline Meta Giacobazzi, Barbara Lanzafame, Sabrina Minichiello, Francesca Pagnini, Jaciara’Rocha, Ilaria Linda Principe, G., Alessia Stradiotti, Marta Vergani.
Un pomeriggio dedicato alla danza contemporanea e alle arti performative con l’evento conclusivo del Corso di Alta Formazione per autori e autrici della scrittura corporea e delle performing art I corpi e le voci della danza, realizzato da Cronopios in collaborazione con Cantieri Danza e L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino.
Sarà l’occasione per assistere alla presentazione di pratiche performative e materiali di ricerca nati da un percorso intensivo di sette mesi, durante i quali quattordici giovani performer dal profilo autoriale hanno avuto l’opportunità unica di collaborare e confrontarsi con importanti artist* e compagnie della scena nazionale e internazionale come Daniele Ninarello, Nicola Galli, Silvia Gribaudi, Collettivo CineticO, Dewey Dell e Paola Bianchi.
Un cammino formativo itinerante che ha attraversato la Casa della Cultura Italo Calvino, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, il Teatro Petrella di Longiano, le Artificerie Almagià di Ravenna e che culmina in questa giornata di condivisione e confronto.
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Sono Michael Incarbone e VIDAVÈ Company, formata da Matteo Vignali e Noemi Dalla Vecchia, gli autori e le autrici che prenderanno parte alla nuova edizione di Prove d’Autore, l’azione del Network Anticorpi XL che permette a giovani artisti e artiste di misurare le proprie capacità autoriali confrontandosi con l’ideazione e la scrittura coreografica per ensemble di giovani danzatori e danzatrici di matrice accademica e sperimentarsi in processi creativi più complessi.
Ai coreografi selezionati tra coloro che hanno attraversato la Vetrina della giovane danza d’autore, sarà offerto un periodo di residenza di 10 giorni presso una prestigiosa compagnia italiana, partner di progetto, al fine di sperimentare la trasmissione del proprio linguaggio autoriale e la composizione coreografica, stimolando così l’incontro con importanti compagnie e generando preziose occasioni di scambio tra differenti linguaggi coreutici e approcci alla creazione.
A dare il via alla decima annualità del progetto è Michael Incarbone che dal 12 al 22 ottobre 2025 sarà in residenza a Reggio Emilia presso la MM Contemporary Dance Company. VIDAVÈ Company lavorerà invece dal 10 al 19 novembre presso il Balletto di Roma. Al termine di ciascuna residenza, i giovani coreografi avranno modo di condividere l’esito del lavoro svolto con i partner del Network Anticorpi XL e la direzione della compagnia, prezioso momento per scambiare riflessioni e feedback dell’incontro avvenuto grazie all’azione.
Giunge a conclusione la sesta edizione di ERetici. Le strade dei teatri, bando per giovani artisti under 28 del panorama nazionale promosso dal Centro di Residenza Emilia-Romagna, composto da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e La Corte Ospitale di Rubiera, con il contributo di MiC – Ministero della Cultura e Regione Emilia-Romagna.
Il 20 settembre alle ore 18.30 al Teatro Herberia di Rubiera verrà presentato l’esito della residenza di Notturno264, il progetto vincitore di questa edizione, di e con Anita Pomario (il Teatro Herberia è a Rubiera RE, in piazza Gramsci – per informazioni tel. 052262113 / mail biglietteria@corteospitale.org).
Interrogandosi sul valore del processo creativo che precede e accompagna la composizione e la produzione di una nuova opera, ERetici. Le strade dei teatri ha offerto ad Anita Pomario le migliori condizioni per concentrarsi sulla ricerca e la sperimentazione, il confronto con studiosi e curatori, le relazioni con le comunità di prossimità. In particolare, Anita ha avuto a disposizione cinque periodi di residenza creativa, un compenso economico, ospitalità a L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e La Corte Ospitale di Rubiera e lo sguardo e l’accompagnamento prezioso dei tutor Elena Di Gioia, Gerardo Guccini, Enrico Pitozzi, a cui si è aggiunto il tutoraggio artistico di Daria Deflorian e Nicola Ratti.
“Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha raggiunti e impedisce loro di diventare niente. Appunto per questo, essi – tutti- possono ritornare. E la morte, dunque, non è che la disapparizione degli eterni.” E. Severino
Notturno264 si presenta come un’esperienza multidisciplinare che combina teatro fisico, scultura e nuova drammaturgia. Un’indagine sospesa sulla morte, sulla mancanza e sulle ossessioni che ne conseguono.
La storia segue Gasparina, una donna che, dopo la perdita del padre nel sonno, decide di smettere di dormire.
La performance vuole essere concepita come un quadro, con tre elementi simultanei e paralleli: L’Armatura, la Figura e il Contorno. Un mondo chiuso all’interno del quale la Figura agirà attraverso il suo divenire-animale per sfumare all’infinito.
Seguendo un impulso simile a quello della stella verso il suo buco nero, La Figura finirà per sprofondare dentro sé stessa e disperdersi in una dimensione in cui tutto è fermo ma illimitato.
E dunque in questa traiettoria, Notturno264 non si pone l’obiettivo di risolvere o descrivere, ma bensì di attraversare l’esperienza-morte al fine di dissolversi, di fondere i Propri confini per raggiungere quello spazio liminale in cui non ci sono scomparsi ma solo eterni. Per coabitare, accettare, celebrare.
Crediti
Notturno264 / Primo studio
di e con: Anita Pomario
con la collaborazione creativa di: Tommaso Giacomin
sviluppo del paesaggio sonoro con il supporto di: Nicola Ratti
costume: Antonio Pondini
foto di scena: Matilde Magli
tutor artistici: Daria Deflorian, Nicola Ratti
tutor di progetto: Elena Di Gioia, Gerardo Guccini, Enrico Pitozzi
Anita Pomario nel 2018 si diploma alla Neighborhood Playhouse School of The Theatre di New York, nel 2019 consegue un Master in Teatro Sperimentale alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, specializzandosi nella tecnica Meisner, nel teatro fisico e contemporaneo. Al cinema recita in L’Amore che Ho, dir. Paolo Licata, dove interpreta Rosa Balistreri, e nella serie TV SKY L’Arte della Gioia, di Valeria Golino. Recita in Stranizza D’Amuri di G. Fiorello e Le sorelle Macaluso di Emma Dante (Premio Pasinetti Miglior Cast, 77esima Mostra del Cinema di Venezia). Ha da poco concluso le riprese di Storia d’amore di un uomo che balla, produzione cinematografica italo-cilena di Cosimo Gomez. Sul palco, lavora in contesti internazionali. Debutta in America interpretando Giulietta in Romeo e Giulietta a New York, per la regia di Sean Hagerty. A Londra è in Holm con la compagnia Temper Theatre e lavora alla sua prima co-regia in Germania in WALT/FOREST. Partecipa a progetti come GeoDrama al Fuori Festival, Festival dei Due Mondi di Spoleto, ed è tra i 5 artisti under 35 selezionati da Triennale Milano per il gruppo di ricerca di FOG.
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marzo-aprile 2025
Sulle tracce di Esercizi di Mondo, arriviamo alla seconda residenza del 2025 di CollettivO CineticO all’Arboreto. Quelle di marzo e aprile sono pagine che si muovono come una danza ancora da inventare, tra gesti impercettibili e scosse telluriche, tra sudore e poesia, tra corpi in fiamme e bambini che inventano parole nuove per i movimenti. Pagine che accolgono sogni, crampi notturni, pavimenti scivolosi, magie vere e magie inventate, ricordi di pulizie rituali e coreografie mancate. Il corpo è terreno di scontro e meraviglia, il teatro si riempie e si svuota, diventa foresta, parco giochi, luogo di liberazione dei corpi, e tutto si tiene in un equilibrio fragile ma intenso.
Nella densità del tempo della residenza c’è la ricerca per Abracadabra, l’incontro con il mago Gabriel e la Magica Gilly, le prove per Manifesto Cannibale che va in scena all’Arena del Sole, la fatica, il cambiamento e a volte il cedimento, l’assenza, l’immobilità, il dolore. C’è finalmente il sole dopo tanta pioggia, perché “se puoi ballare, balla”!
giovedì 27 marzo 2025
Da quando sono tornata all’Arboreto la mia vita onirica è satura e appassionata.
Hanno anche ricominciato a sognarmi.
Camilla, da Madrid, me lo ha scritto. E Laura, come sempre.
Forse è perché “Manifesto Cannibale” all’Arena del Sole di Bologna si avvicina e i sogni si risvegliano.
Tre anni fa, mentre creavamo il progetto, per oltre un mese ogni notte qualcuno mi sognava. Ad un certo punto, con il timore di rompere l’incantesimo, l’ho scritto su Facebook. Hanno commentato altre persone dicendo di avermi sognata.
Un giorno nessuno mi ha detto niente. La sera, a cena da Stefano Sardi (il cinetico con i capelli lunghissimi e il figlio biondissimo) ho raccontato di questa strana mistica e che quello era il primo giorno in cui non avevo infestato i sogni altrui… ma ero nel sogno di Giulia, amica psicologa che ha confessato a tavola.
Dicono che nelle tribù amazzoniche i capi villaggio si accordano in sogno.
Per fortuna sul sonno non sappiamo quasi niente.
Per fortuna resta una spazio salvo dalla produzione, dal consumo, dalla prestazione e dall’ipocrisia.
Immagino un destino terrorizzante in cui i sogni sono infestati dalle pubblicità.
Vorrei vivere questi giorni pensando di fare, vedere, ascoltare per nutrire i sogni.
Che la veglia abbandoni la sua prepotenza.
Che il giorno si arrenda alla notte.
venerdì 28 marzo / Friday morning
(musica: Friday Afternoons di B. Britten)
Anche questa mattina il corpo implora sonno.
Passo le ore centrali della notte a lottare con un serpente infilato nel quadricipite. Manifestazione onirica di un crampo notturno? interpretazioni falliche estrattive? giustificata ansietta da parassiti che si presenta appena il corpo arriva nella natura e non sta nella tossica igiene urbana?
Quando suona la sveglia non riesco a sollevarmi.
Non dico alzarmi. Sollevarmi. Arrivo tremante ad una sfinge asimmetrica sui gomiti e crollo.
Misuro il tempo dai suoni dell’acqua che arrivano dal bagno. Qualcuno che piscia, uno sciacquone, si lavano i denti, la faccia, qualcosa.
La mente è fin troppo vigile ma il corpo vuoto, pesantissimo, assente.
Corpo mescolato al materasso.
Inizio a contare i minuti che mi separano dal momento in cui tre classi delle scuole elementari di Mondaino entreranno in teatro e io le guarderò con l’occhio destro, nascosta dietro all’ultima quinta.
Alla fine succede. Faccio scorrere anche io acqua ghiacciata.
Poi cacao fondente amarissimo, musica incazzata e addominali sudati.
Le mie manie di controllo si ridimensionano in fretta: i bambini entrano in teatro prima del previsto e senza preavviso. La prima immagine che vedono sono io che sto cercando di correggere la scivolosità del tappeto danza sputacchiandomi sui calzini e strisciando i piedi sul palco come una geisha assatanata.
Mi nascondo dietro alla quinta e mi accorgo che lo spettacolo è già iniziato.
Ed è iniziato così.
Una tizia sulla quarantina con capelli improbabili e calzini di lana che si strofina ossessivamente sul palco mordendosi il labbro superiore.
Niente è come avrebbe dovuto essere. Tutto è come è.
Ed è con questa realtà, con questo inizio sbagliato, questo corpo in fiamme che faccio i conti.
Piccole lezioni di vita intitolate qualcosa come: “Il senso della pianificazione quando il mondo è temporale”. Come imprevisto mi sembra simpatico.
Sbircio dalla quinta e bambini e bambine si esaltano quando mi vedono.
Sono custodi di un segreto.
È subito gioco. Bisbigliano tra loro.
Mi salutano con la manina ogni volta che spunto.
Qualcuna lo dice alla maestra, ma non con fare da spia… più come una speleologa esaltata dalla sua scoperta.
Presento una parte dello spettacolo 10 Miniballetti.
4 miniballetti e mezzo, per l’esattezza.
Applaudono alla fine di ogni pezzetto di danza.
Sento vividi i loro occhietti curiosi, i loro wow bisbigliati.
Finisco con una spaccata al rallentatore (assistita dal grip del calzino scientificamente sputacchiato) e dal pubblico arriva un “poverina!”.
Buio. Rido verso il fondale. Mi inchino. Applaudono ancora ma con meno entusiasmo che durante lo spettacolo. Con loro la convenzione non vince.
Mi fanno un sacco di domande alzando il braccio il più possibile, con tutta la spalla contro l’orecchio… quasi che alzare il braccio sia alzare la voce.
Ti fa male fare la spaccata?
Quanto tempo ci hai messo per fare queste cose?
Tu com’eri da bambina?
La sai fare la ruota che finisce nella spaccata?
Tuttə voi piano piano potete fare la spaccata.
Magari non ha la stessa identica forma, ma la vostra spaccata la potete fare.
Racconto com’è nato lo spettacolo, che quando avevo la loro età scrivevo le mie coreografie su un quaderno anche se non le sapevo fare e che da grande ho provato a metterle in scena.
Che è difficile scrivere la danza, ancora più che danzare la parola.
Faccio un gesto tutto scomposto e chiedo come si chiama.
Inventate il nome.
Mi dicono “slaimers”, “girandola”, “è un boh”.
Penso che “Boh” sia il nome perfetto.
Fammi un Boh, dico a Carmine.
Lui lo fa.
Ci diciamo che nella danza contemporanea ci sono tutti i movimenti.
Che si può inventare tutto. Che anche la loro mano alzata può essere un movimento di danza contemporanea.
Poi raccontiamo di come fermare il tempo e quando suoniamo il campanellino sono tuttə perfettamente immobili… Eccezionali. Solo le maestre inciampano.
Lə bambinə ci credono tantissimo, e diventa vero.
Andiamo sul palcoscenico assieme e lo spazio vuoto diventa foresta, parco giochi, luogo di liberazione dei corpi. Mi sembra che il loro corpo non sia ancora un nemico, come forse succede andando avanti con gli anni. Non sembra nemmeno uno sconosciuto.
Sono nei corpi. Sono il loro corpo.
Ci divertiamo molto e lascio Angelo e Carmine nelle loro mani per ricostruire usando solo le parole la coreografia che hanno visto eseguita da me.
Due squadre, due semicerchi di bambini con le mani sportivamente tenute dietro alla schiena (nella posa coreografica dell’umarell) per non mostrare nulla e tradurre in parola. Ce la fanno. Inventano linguaggi, costruiscono immagini.
Ci lasciamo con la missione di scrivere il proprio miniballetto.
Abbiamo promesso che noi li danzeremo tutti quando ce li portano.
Spero che di questa mattina, di questa danza e di queste parole abbiano raccolto il senso di possibilità e di invenzione. Che si siano sentitə accoltə, tuttə.
(PS: durante l’estate, quando sono tornata a teatro per tenere il corso di alta formazione, ho attraversato il parco del paese. I bambini e le bambine mi hanno fermata, li ho sentiti urlare “è la ballerina”. Abbiamo chiacchierato. Si ricordavano tutto ed erano già cresciuti tantissimo. Che preziosi questi incontri.)
Oggi, come ogni altro giorno,
ti svegli vuoto e spaventato.
Non aprire la porta dello studio per iniziare a leggere.
Riponi lo strumento musicale nella custodia.
Lascia che la bellezza che ami sia in ciò che fai.
Ci sono centinaia di modi per inchinarsi e baciare la terra.
(Jalal al-Din Rumi)
sabato 29 marzo 2025
Carmine arriva dalla salita mezzo svestito, il cappotto infilato a metà, la felpa appesa solo dal cappuccio sui capelli umidi, i jeans slacciati, un braccio e un fianco scoperti.
Il suo tricipite destro, già parecchio ipertrofico, è gonfio e violaceo, lucente dell’unguento al cortisone.
La cresta iliaca sinistra con un pomello perfettamente sovrapposto all’ossatura, un tratto di evidenziatore fucsia sulla parola “anca”.
Un ragno? Chi sarà stato a pungerlo? Ma soprattutto, è ancora lì dentro?
L’idea che quel bozzo iliaco possa essere un nido di ragno è troppo emetica per essere affrontata a tavola.
E lui cena così, il culo mezzo fuori e una manica sola, ancora accaldato dalle pedalate sui rulli in camerino su cui sfoga tutta la sua furia cinetica in questi giorni di consuntivi ministeriali.
domenica 30 marzo 2025
Oggi è cambiato l’orario. Mi alzo alle 9, che sarebbero le 8.
Incrocio Carmine nell’ingresso, ha fatto tutta la notte al computer per finire il bilancio.
Ha visto due gatti litigare e sfiorarsi a velocità western senza guardarsi. Poi azzuffarsi.
Ha il viso fresco come un bambino.
Ha compiuto la sua missione dopato di caffeina e orsetti gommosi.
Ci scambiamo, lui va a letto e io mi alzo.
Domenica senza orari, con orari sbagliati, sfasati. Solo il sole. Finalmente il sole dopo giorni di pioggia.
Cammino nel bosco prima di entrare in teatro. Gli odori mi possiedono.
Alcuni alberi hanno iniziato a fiorire… ma non so come si chiamano.
O, meglio, non so come li abbiamo chiamati.
Le radiazioni del sole sono un tocco di 147 milioni di chilometri.
I miei tessuti ne assorbono solo una parte. Una parte mi attraversa. La rimanente non mi riguarda, ci ignoriamo.
Mi scaldo. Anche noi umani emettiamo radiazioni. Corpi terrestri.
Siamo stelle piccole piccole, facciamo circa 100W infrarossi con l’intera superficie del corpo.
Scaldare un po’ lo spazio, scambiare calore. Toccare a distanza.
Questi pensieri mi accompagnano tutta la mattina.
Mi immagino toccare tutto ciò che sta a qualche decina di centimetri di distanza da me, con le mie radiazioni.
Metto musica a caso e inizio a danzare come se la conoscessi benissimo.
Come se la canzone fosse una specie di oracolo, una veggenza sulla giornata di oggi.
Divinazione che va attraversata con il corpo, letta con le giunture e i loro suoni asimmetrici.
In equilibrio su una gamba il mio sguardo scorre lontano sulle pareti in mattone del teatro, traccia una linea precisa. Lo sento come un dito che percorre i muri. Sento il ruvido con gli occhi.
Mi consumo appena di qualche cellula. Il mio sguardo è un pastello a cera.
Il mio piede sinistro cerca il soffitto mentre la testa si avvicina al pavimento e la gamba destra fa centinaia di piccoli assestamenti talmente intelligenti che non potrei deciderli. Sanno tutto loro, i miei piedi danzano senza di me.
Cerco una posizione estrema. Mi innamoro di un puntino sul pavimento e lo guardo con una passione tale che potrei stare così, ribaltata e squarciata, per qualche ora.
Chissà quanto mondo si è rimescolato in quella polvere.
giovedì 10 aprile 2025
(Dal diario di Angelo)
Oggi ho incontrato Gabriel e Magica Gilly.
La mattina, prima del loro arrivo, ho sistemato il teatro.
Ad accogliermi una popolazione di cimici rinsecchite sul palcoscenico.
Pulire il palco prima dei lavori mi garantisce un certo senso di prospettiva sulla giornata a venire.
Non sapevo cosa aspettarmi dal duo, ho liberato il palcoscenico dal suo tempo espresso in polvere, segatura e insetti vaganti e le gradinate dagli oggetti di Manifesto Cannibale.
Mi rendo conto di non sapere granché su di loro. Mi documento rapidamente in rete. C’è effettivamente un sacco di roba.
So che Abracadabra, lo spettacolo che stiamo creando da un paio di anni, è un discorso intorno alla parola creatrice prima che uno spettacolo di illusionismo eppure sono abituato a tuffarmi nelle riflessioni con una preparazione parziale. Ma comunque….
In attesa del loro arrivo il palco sembrava sospettosamente sgombro.
Siamo in creazione di Abracadabra, prove di Manifesto, entrambi lavori con un potente immaginario scenico cui si poggia sopra la scrittura performativa.
Adesso così vuoto risuonano le parole che sto imparando a memoria di Francesca.
“Il coro dei corpi quasi assenti”.
O, forse ancora più calzante: “Vedete, anche se non vedete… il corpo c’è. Questa non è la sua assenza. Questa è la sua invisibilità.”
In attesa del loro arrivo gioco un po’ con questa sensazione.
Che lo spettacolo è già lì.
Se solo ci vedessi meglio, lo vedrei.
Poi decido malamente di andarmi a fare la doccia nei camerini e perdo l’arrivo di Francesca che trova semplicemente il teatro aperto e nessuno dentro.
Giusto per insistere sull’invisibile.
Arrivano.
Ci stringiamo le mani.
Le loro sono particolarmente morbide.
Se le mani riflettono il lavoro di una persona le loro mi hanno dato la sensazione di chi è abituato a lavorare con l’aria, che chiaramente le mani devono essere ultrasensibili per prendere un oggetto che prima non c’era.
Ci sediamo sulla gradinata (cioè io no, sono su una sedia che altrimenti sarebbe stato come nelle panchine al parco, ma funziona solo con chi conosci super bene).
Loro sono la Magica Gilly (nome d’arte di Giliana Fiore) e Gabriel (sospetto Fiore anche lui, però non so).
Padre e figlia.
Gli racconto chi siamo, che siamo a Mondaino per riscoprire le pratiche e decostruire la residenza come luogo iperproduttivo.
Che stiamo facendo degli esperimenti.
E che faremo un’apertura il 15.
Che devono venire, che si chiama WOW e noi sappiamo cos’è, ma il pubblico no.
Sembrano divertiti anche se forse un po’ scomodi.
Mi è venuto il timore di aver detto cose poco comprensibili, ma poi durante la chiacchierata ci siamo distesi.
Lei ha le unghie smaltate.
Smaltate bene.
Lui ha una giacca di pelle (o similpelle) che sembra super basic, ma che in realtà non lo è.
Sembrano due persone abituate a scegliere come presentarsi.
Dopo che ho blaterato per un po’, Gabriel comincia a raccontarmi la loro formazione.
Mentre racconta ha gli occhi che sfuggono da tutte le parti.
Autodidatta.
Gli piace la magia da bambino. 10 anni.
Inizia da autodidatta poi studia e pratica e diventa un pro.
È nel giro da parecchio tempo, la comunità dei maghi è una cosa seria.
Ha un festival di magia a San Marino che è internazionale e iper grosso e che sta per compiere 27 anni.
Lui dice che i fondi sono pochi e che in Francia fanno le cose meglio.
Interamente sorrido perché magari facciamo parte di circuiti differenti, ma si vede che le cose cambiano fino ad un certo punto.
Spara una serie di nomi di maghi famosi. Un bel po’ ne conosco.
Annuisco comunque a tutti cominciando a maturare una certa ansietta da prestazione.
La magica Gilly non parla molto.
È super presente nella conversazione, con espressioni chiare e comunicative, ma il padre mi racconta anche della sua formazione.
Che ha voluto iniziare lei. Ci tengono, si vede. Ci sta.
Che ha una bel po’ di numeri e ormai si esibisce più del padre.
Ha scritto due libri. Poi vado a vederli in rete. Sembrano super belli, “50 trucchi per veri illusionisti” lo vorrei in casa sicuro.
Ecco, qui su questo c’è qualcosa. Su quel “veri” illusionisti.
Gli racconto Abracadabra brevemente e forse un po’ male, in un goffo tentativo di non spoilerare niente, ma così rendendo forse le cose un po’ vaghe.
Non volevo citare numeri o magie codificate.
Poi però lo faccio lo stesso.
La questione è che la magia è una cosa seria.
Una cosa serissima.
E che mi sa che è stata un po’ bistrattata dalla popolarità.
Che adesso se sei un mago forse un po’ senti che devi difenderti da quelli che fanno finta di farlo. Che non sono dei veri illusionisti. Che si sono improvvisati, non sanno cosa fanno e poi rovinano una cosa che si regge in piedi grazie ad un’alchimia delicatissima.
Che i trucchi non si dicono. Non si fanno vedere due volte.
Non ci si fa scoprire solo perché si è un cattivo prestigiatore. Anzi un non-prestigiatore.
Perché tu che fai il numero male fai scoprire ad un’intera platea i retroscena di qualcun altro.
In questo senso vedo quanto sono diversi i nostri approcci alla scena, ma penso di capire bene il suo discorso.
Non è che non ci si può giocare con l’arte.
Mi cita diverse volte che i bambini con la manipolazione degli animali si divertono un mondo.
E mentre lo dice anche lui si illumina.
Non è che non ci si può giocare. Non è che sia una cosa seria e guai a prenderla in giro.
Ma è comunque una cosa importante.
Per chi la fa e per chi la guarda.
E questo rendere qualcosa di “inutile” super importante è un’alchimia difficile da mantenere.
Durante la chiacchierata sono partiti aneddoti e racconti di formazione.
Di quella volta con 5 numeri in fila, che alla fine ha lavorato più lui come assistente a resettare ogni volta il numero da zero.
Di quella dove le colombe sono semplicemente volate via o sono andate sul ring e poi ha dovuto prenderle con una cantinella.
O quando La Magica si è esibita nella piazza gigante da 3000 persone (che poi non ho capito se c’erano effettivamente 3000 persone, ma a me piace pensare che è andata esattamente così) e che è stato super bello.
Soprattutto trasuda il valore della comunità della magia.
Che si trovano in festival vissuti praticamente solo da maghi.
Si mostrano le cose a vicenda.
Che non ho una corrispondenza per questa cosa nel nostro mondo (e neppure voglio trovarla).
Ma mi vengono in mente le gilde, le massonerie, i gruppi segreti e allo stesso tempo pubblici, un certo amore per l’esoterismo.
Alla domanda “dove trovi le magie che fai?” la risposta è “nella comunità”.
Forse si può pure estendere.
Dove risiede la magia?
Dopo un’ora e mezza abbiamo un po’ perso il filo e il tempo.
Rinveniamo un po’ all’improvviso.
Io rinnovo gli inviti, spero che vengano a trovarci.
Mi sono chiesto più volte cosa vedranno quando vedranno WOW, ma l’unica cosa è provare e vedere cosa succede.
Il teatro torna a essere vuoto.
Io resto con quest’eco di avere per le mani qualcosa di fragile e prezioso.
lunedì 21 aprile 2025
Se puoi ballare balla.
Sono stati giorni difficili.
Giorni di assenza, immobilità, dolore.
Mi hanno fatto una piccola operazione chirurgica e il mio corpo ha preso molto male l’anestesia.
Che magia e che assurdità non sentire più niente.
Lasciarsi in balia della dissezione, delle mani ferme, del farmaco.
Mi hanno fermata a un passo dalla sala operatoria e dentro vedevo la ragazza prima di me intubata.
L’hanno svegliata urlando fortissimo il suo nome, l’hanno sgridata perché si dimenava.
Le hanno detto che se cadeva poi erano rogne e loro non avevano tempo per le rogne.
Non mi sembrava una grande idea espormi a questo spoiler.
Viene il mio turno e mi legano prima di addormentarmi. Le due braccia aperte sui supporti, la sinistra con la flebo, le due gambe aperte e sollevate legate alle tibie.
Sento l’allarme accelerare il respiro. Calmo il respiro e piano cedo all’oblio.
Tutto si mescola al mio risveglio. Mi raccontano che gridavo fortissimo aiuto.
A me sembra una reazione sana.
Continuo a dimenticare tutto. Le gambe sono percorse dalla corrente elettrica. Mi perdo e mi ritrovo in sensazioni che non hanno nomi.
Pensavo di rientrare subito all’Arboreto ma mi dicono che il mio corpo ha reagito in modo eccessivo. Mi danno altri farmaci, altre iniezioni da fare nell’addome che ormai è un mosaico di piccoli lividi a diversi stadi cromatici. Rosso, violaceo, giallo.
Cammino a fatica. La notte le gambe sono percorse da fiotti di lava ed elettricità.
Comunico a distanza con gli altri. Le lenzuola di Manifesto Cannibale appese sul palco. I loro corpi seminudi guidati dal pubblico in I x I.
La classe di yoga delle sudate alchemiche guidata da Carmine dopo la nostra lunghissima telefonata.
La vedo a distanza. La loro energia fa esplodere un faro che piove su una partecipante.
La lacrime li sfiorano ma la gioia li possiede. Finiscono in gratitudine e io sono fiera e sola.
Gloriosamente fiera, disperatamente sola.
A tratti credo di impazzire. Penso a questo corpo che mi tradisce e mi salva, mi tradisce e mi salva.
Tengo accesa una candela tutto il giorno, la fiamma mi accompagna come presenza viva.
Come un piccolo animale domestico. Qualcosa da coltivare.
Fra pochi giorni ci sarà Manifesto Cannibale. Pensavo di essere guarita a quel punto.
La mattina del giorno prima mi sveglio e un piede non si muove.
Come in Kill Bill. Chiamo l’alluce e non risponde, la caviglia è densa. Il colore brutto. Come se il piede fosse morto.
Dottore. Dottore chiama altro dottore. In tre guardano la mia gamba.
Mi mandano di urgenza al pronto soccorso. Codice arancione. Durante la giornata il piede ricomincia a muoversi. La sera lo appoggio appena. Noleggiamo una sedia rotelle e il giorno dopo sono al teatro Arena del Sole di Bologna. La scena è bellissima. La pendenza della platea rende complesso ogni spostamento… mi aiutano.
Ti accorgi in questi momenti di quanto sia incredibilmente difficile la vita delle persone con disabilità, delle artiste e degli artisti con disabilità che riescono, nonostante barriere architettoniche, economiche, sociali a lavorare in questo ambiente. Dovrebbero provare tutte le persone a stare un po’ in sedia a rotelle… soprattutto quelle che si occupano di prendere decisioni sul corpo delle altre.
Le ore avanzano e cammino a fatica, ma cammino.
Ghiaccio in camerino, iniezioni, stampelle, gamba in alto.
Alla fine faccio lo spettacolo. Come al solito sul ciglio dell’impossibile. Sempre sul filo del funambolo.
Tutto sta nello stare nella realtà. C’è sempre un possibile e l’arte può accoglierlo.
Ma servono operazioni piene di spazio per il reale.
Il mio corpo continua a tradirmi e meravigliarmi.
Non capisco. Non capisco nemmeno i medici. Ma capire forse non è la questione.
Vogliamo capire tutto e quindi appiattiamo il reale alle nostre capacità di spiegarlo e approssimiamo le sfumature ai vocaboli esistenti. Forse capire significa sempre approssimare, chiudere.
Cerco di stare nel sentire e di reagire ad esso.
È un sentire senza nomi e se mi concentro perde anche il nome di dolore. Diventa pura sensazione.
Un panorama articolatissimo che si mescola all’immaginazione.
Non sempre ci riesco.
Quando ci riesco la sensazione di pericolo, di morte, si deposita.
Mi godo tutto. Il privilegio incredibile di essere in scena come un dono.
Come un dono che ricevo e che faccio.
Vado in scena senza niente da dimostrare, solo da esistere, come dice il mio amico cantante.
Solo la necessità di rendere prezioso il tempo assieme, di creare una memoria in grado di trasformare, luccicare.
Succede qualcosa che mi viene da chiamare miracolo. Un miracolo piccolo piccolo.
Esco di scena e le persone si inginocchiano davanti a me, mi tengono le mani. Piangono.
Mi scrivono nei giorni successivi raccontandomi i loro sogni. Qualcosa è cambiato.
Torno all’Arboreto e lascio un intero giorno per assorbire quello che è successo.
Carmine fa la spesa e io e Angelo parliamo tra teatro e bosco.
La gamba destra appoggiata sul tavolo.
Angelo si alza e con gentilezza accompagna le cimici nel verde.
La notte succede di nuovo. Mi sveglio alle 4 nelle fiamme.
Lo stesso piede non si muove più.
Noleggiamo una nuova carrozzina. È tutta scassata, ha le ruote a terra e i pezzi metallici sembrano una trappola per topi pronta a scattare. Tutti vogliono giocarci. Porta sfortuna dico, ma niente da fare.
Loro non hanno paura della sfortuna.
Il giorno dopo ci raggiunge di nuovo Simone. L’atmosfera è serena e io sono molto tranquilla nonostante questi strani sintomi continuino a prendere il sopravvento.
C’è la Pasqua, il patrono di Ferrara, il ponte della liberazione e non riesco a trovare i medici quindi sono rilassata e arresa.
Mettiamo le mani su Abracadabra ed è bellissimo.
Ascoltiamo brani, registro pezzi di testo e mostriamo a Simone e Carmine la scena del lipsink di Angelo.
Se potessi ballare finirei di imbastire la coreografia invece provo a fare tutto con le parole… come nelle magie.
È un bell’esercizio e riesco a domare la frustrazione come un cane feroce addestrato.
Sta seduta accanto a me ma non attacca.
Se puoi ballare, balla. Me lo ripeto da giorni.
Ci auto-ipnotizziamo con delle bolle giganti che diventano mondi, diventano voce, spazio temporaneo, illusione di un dentro e di un fuori. Illusione di una separazione.
Il fumo che si libera dal loro interno è parola che dilaga.
Guardiamo, cangiante e temporanea, la consistenza stessa dell’aria.
Resto a bocca aperta. Penso che lo spettacolo potrebbe essere tutto così.
Forse Alessandro Sciarroni riuscirebbe a farlo.
Io no, io creo in un’accozzaglia di mille idee e per me semplificare è sempre un processo che arriva dopo tanto e a fatica.
Con le scene tagliate di ogni spettacolo se ne farebbero altri 3… ma se rimanessero lì si ucciderebbero a vicenda.
Mi convinco che tutte le cose belle che non andranno mai in scena potenzieranno silenziosamente quello che resta. Gestisco così questi piccoli lutti. Insomma, me la racconto così.
Mi godo gli ultimi giorni all’Arboreto sentendomi a casa, per quanto temporanea.
Il teatro è tutto coperto da fondale e quintatura quindi ogni volta che c’è occasione ci mettiamo a parlare sul tavolo fuori, per rinfrescarci le idee e dare loro spazio.
È fondamentale.
Spesso passano persone con sguardo interrogativo e raccontiamo del teatro… proviamo a spiegare cos’è una residenza e che questo luogo è unico. Chiacchieriamo, le invitiamo.
Mi sembra che questi incontri siano così importanti. O almeno desidero crederlo.
Una famiglia è entrata dentro mentre registravamo delle musiche. La figlia più piccola non voleva più andare via.
Magari da grande ricorderà quel momento come qualcosa a cui tornare.
Come i ballerini del lago dei cigni che ho visto quando avevo 4 anni che dormivano sulla corriera. Temo sia stata l’idea di dormire tuttə assieme sulla corriera a farmi innamorare della danza.
mercoledì 23 aprile 2025
Io che non riesco mai a dormire sono al centro del palco, rannicchiata sul fianco destro e completamente inerte. Luci tecniche, musica random, qualche insetto che mi cade accanto, Angelo e Carmine che caricano il furgone con le cose che non serviranno più. Dormo, secca.
Mi sveglio per gli scatti involontari dei muscoli.
Le ossa non sono felici della relazione con il suolo.
Fuori un temporale fortissimo sciacqua il cielo che fino a poco fa era azzurro.
La meteoropatia mi prende un po’ a calci.
Mi ingozzo con qualche pezzo rimanente dell’uovo di pasqua nella speranza che il fondente mi svegli.
Fra un’oretta arrivano le persone.
Preparo lo spazio per le sedute alchemiche. Proviamo mille soluzioni luminose e poi portiamo le lampade dell’ingresso per creare un’atmosfera casalinga, raccolta.
Siamo una decina, tuttə arrivano con il sorriso.
Riconosco chi era alle sedute alchemiche la scorsa estate, ricordo i racconti della figlia adolescente, di altri figli di amici che avrebbero potuto partecipare ad Age (il nostro spettacolo con un cast di adolescenti che è nato proprio in residenza qui lo scorso anno).
C’è anche Isabella, che non vedevo da anni e che aveva giocato con noi a cinetico4.4 nel 2012…
Era a Bologna due giorni fa a vedere Manifesto Cannibale.
L’aveva visto anche al Festival di Santarcangelo.
Insomma, lei c’è sempre stata, sono io che non la vedevo.
Do un po’ di istruzioni per la seduta: postura, respiro, gestione di eventuali insofferenze.
Chiudiamo le palpebre e ci immergiamo in un altro spazio. L’attenzione cambia grana. Il tempo cambia consistenza e con loro anche il corpo.
Diventiamo aria, nuvola, elettricità.
Mentre percorriamo la pelle il sole percorre lo spazio tra tetto e bosco illuminandoci all’improvviso come un bagno dorato.
Qualcosa di magico e minuscolo che rimane lì, in quella dimensione sotto alle palpebre.
Quando torniamo a vedere, i visi sono distesi e luccicanti.
Ci intratteniamo un po’ a parlare, raccontiamo aneddoti e retroscena.
Prezioso.
E così, ancora una volta, ringrazio il teatro, il bosco, gli incontri, questo essere assieme che trasforma e scalda.
marzo-aprile 2025
Sulle tracce di Esercizi di Mondo, arriviamo alla seconda residenza del 2025 di CollettivO CineticO all’Arboreto. Quelle di marzo e aprile sono pagine che si muovono come una danza ancora da inventare, tra gesti impercettibili e scosse telluriche, tra sudore e poesia, tra corpi in fiamme e bambini che inventano parole nuove per i movimenti. Pagine che accolgono sogni, crampi notturni, pavimenti scivolosi, magie vere e magie inventate, ricordi di pulizie rituali e coreografie mancate. Il corpo è terreno di scontro e meraviglia, il teatro si riempie e si svuota, diventa foresta, parco giochi, luogo di liberazione dei corpi, e tutto si tiene in un equilibrio fragile ma intenso.
Nella densità del tempo della residenza c’è la ricerca per Abracadabra, l’incontro con il mago Gabriel e la Magica Gilly, le prove per Manifesto Cannibale che va in scena all’Arena del Sole, la fatica, il cambiamento e a volte il cedimento, l’assenza, l’immobilità, il dolore. C’è finalmente il sole dopo tanta pioggia, perché “se puoi ballare, balla”!
giovedì 27 marzo 2025
Da quando sono tornata all’Arboreto la mia vita onirica è satura e appassionata.
Hanno anche ricominciato a sognarmi.
Camilla, da Madrid, me lo ha scritto. E Laura, come sempre.
Forse è perché “Manifesto Cannibale” all’Arena del Sole di Bologna si avvicina e i sogni si risvegliano.
Tre anni fa, mentre creavamo il progetto, per oltre un mese ogni notte qualcuno mi sognava. Ad un certo punto, con il timore di rompere l’incantesimo, l’ho scritto su Facebook. Hanno commentato altre persone dicendo di avermi sognata.
Un giorno nessuno mi ha detto niente. La sera, a cena da Stefano Sardi (il cinetico con i capelli lunghissimi e il figlio biondissimo) ho raccontato di questa strana mistica e che quello era il primo giorno in cui non avevo infestato i sogni altrui… ma ero nel sogno di Giulia, amica psicologa che ha confessato a tavola.
Dicono che nelle tribù amazzoniche i capi villaggio si accordano in sogno.
Per fortuna sul sonno non sappiamo quasi niente.
Per fortuna resta una spazio salvo dalla produzione, dal consumo, dalla prestazione e dall’ipocrisia.
Immagino un destino terrorizzante in cui i sogni sono infestati dalle pubblicità.
Vorrei vivere questi giorni pensando di fare, vedere, ascoltare per nutrire i sogni.
Che la veglia abbandoni la sua prepotenza.
Che il giorno si arrenda alla notte.
venerdì 28 marzo / Friday morning
(musica: Friday Afternoons di B. Britten)
Anche questa mattina il corpo implora sonno.
Passo le ore centrali della notte a lottare con un serpente infilato nel quadricipite. Manifestazione onirica di un crampo notturno? interpretazioni falliche estrattive? giustificata ansietta da parassiti che si presenta appena il corpo arriva nella natura e non sta nella tossica igiene urbana?
Quando suona la sveglia non riesco a sollevarmi.
Non dico alzarmi. Sollevarmi. Arrivo tremante ad una sfinge asimmetrica sui gomiti e crollo.
Misuro il tempo dai suoni dell’acqua che arrivano dal bagno. Qualcuno che piscia, uno sciacquone, si lavano i denti, la faccia, qualcosa.
La mente è fin troppo vigile ma il corpo vuoto, pesantissimo, assente.
Corpo mescolato al materasso.
Inizio a contare i minuti che mi separano dal momento in cui tre classi delle scuole elementari di Mondaino entreranno in teatro e io le guarderò con l’occhio destro, nascosta dietro all’ultima quinta.
Alla fine succede. Faccio scorrere anche io acqua ghiacciata.
Poi cacao fondente amarissimo, musica incazzata e addominali sudati.
Le mie manie di controllo si ridimensionano in fretta: i bambini entrano in teatro prima del previsto e senza preavviso. La prima immagine che vedono sono io che sto cercando di correggere la scivolosità del tappeto danza sputacchiandomi sui calzini e strisciando i piedi sul palco come una geisha assatanata.
Mi nascondo dietro alla quinta e mi accorgo che lo spettacolo è già iniziato.
Ed è iniziato così.
Una tizia sulla quarantina con capelli improbabili e calzini di lana che si strofina ossessivamente sul palco mordendosi il labbro superiore.
Niente è come avrebbe dovuto essere. Tutto è come è.
Ed è con questa realtà, con questo inizio sbagliato, questo corpo in fiamme che faccio i conti.
Piccole lezioni di vita intitolate qualcosa come: “Il senso della pianificazione quando il mondo è temporale”. Come imprevisto mi sembra simpatico.
Sbircio dalla quinta e bambini e bambine si esaltano quando mi vedono.
Sono custodi di un segreto.
È subito gioco. Bisbigliano tra loro.
Mi salutano con la manina ogni volta che spunto.
Qualcuna lo dice alla maestra, ma non con fare da spia… più come una speleologa esaltata dalla sua scoperta.
Presento una parte dello spettacolo 10 Miniballetti.
4 miniballetti e mezzo, per l’esattezza.
Applaudono alla fine di ogni pezzetto di danza.
Sento vividi i loro occhietti curiosi, i loro wow bisbigliati.
Finisco con una spaccata al rallentatore (assistita dal grip del calzino scientificamente sputacchiato) e dal pubblico arriva un “poverina!”.
Buio. Rido verso il fondale. Mi inchino. Applaudono ancora ma con meno entusiasmo che durante lo spettacolo. Con loro la convenzione non vince.
Mi fanno un sacco di domande alzando il braccio il più possibile, con tutta la spalla contro l’orecchio… quasi che alzare il braccio sia alzare la voce.
Ti fa male fare la spaccata?
Quanto tempo ci hai messo per fare queste cose?
Tu com’eri da bambina?
La sai fare la ruota che finisce nella spaccata?
Tuttə voi piano piano potete fare la spaccata.
Magari non ha la stessa identica forma, ma la vostra spaccata la potete fare.
Racconto com’è nato lo spettacolo, che quando avevo la loro età scrivevo le mie coreografie su un quaderno anche se non le sapevo fare e che da grande ho provato a metterle in scena.
Che è difficile scrivere la danza, ancora più che danzare la parola.
Faccio un gesto tutto scomposto e chiedo come si chiama.
Inventate il nome.
Mi dicono “slaimers”, “girandola”, “è un boh”.
Penso che “Boh” sia il nome perfetto.
Fammi un Boh, dico a Carmine.
Lui lo fa.
Ci diciamo che nella danza contemporanea ci sono tutti i movimenti.
Che si può inventare tutto. Che anche la loro mano alzata può essere un movimento di danza contemporanea.
Poi raccontiamo di come fermare il tempo e quando suoniamo il campanellino sono tuttə perfettamente immobili… Eccezionali. Solo le maestre inciampano.
Lə bambinə ci credono tantissimo, e diventa vero.
Andiamo sul palcoscenico assieme e lo spazio vuoto diventa foresta, parco giochi, luogo di liberazione dei corpi. Mi sembra che il loro corpo non sia ancora un nemico, come forse succede andando avanti con gli anni. Non sembra nemmeno uno sconosciuto.
Sono nei corpi. Sono il loro corpo.
Ci divertiamo molto e lascio Angelo e Carmine nelle loro mani per ricostruire usando solo le parole la coreografia che hanno visto eseguita da me.
Due squadre, due semicerchi di bambini con le mani sportivamente tenute dietro alla schiena (nella posa coreografica dell’umarell) per non mostrare nulla e tradurre in parola. Ce la fanno. Inventano linguaggi, costruiscono immagini.
Ci lasciamo con la missione di scrivere il proprio miniballetto.
Abbiamo promesso che noi li danzeremo tutti quando ce li portano.
Spero che di questa mattina, di questa danza e di queste parole abbiano raccolto il senso di possibilità e di invenzione. Che si siano sentitə accoltə, tuttə.
(PS: durante l’estate, quando sono tornata a teatro per tenere il corso di alta formazione, ho attraversato il parco del paese. I bambini e le bambine mi hanno fermata, li ho sentiti urlare “è la ballerina”. Abbiamo chiacchierato. Si ricordavano tutto ed erano già cresciuti tantissimo. Che preziosi questi incontri.)
Oggi, come ogni altro giorno,
ti svegli vuoto e spaventato.
Non aprire la porta dello studio per iniziare a leggere.
Riponi lo strumento musicale nella custodia.
Lascia che la bellezza che ami sia in ciò che fai.
Ci sono centinaia di modi per inchinarsi e baciare la terra.
(Jalal al-Din Rumi)
sabato 29 marzo 2025
Carmine arriva dalla salita mezzo svestito, il cappotto infilato a metà, la felpa appesa solo dal cappuccio sui capelli umidi, i jeans slacciati, un braccio e un fianco scoperti.
Il suo tricipite destro, già parecchio ipertrofico, è gonfio e violaceo, lucente dell’unguento al cortisone.
La cresta iliaca sinistra con un pomello perfettamente sovrapposto all’ossatura, un tratto di evidenziatore fucsia sulla parola “anca”.
Un ragno? Chi sarà stato a pungerlo? Ma soprattutto, è ancora lì dentro?
L’idea che quel bozzo iliaco possa essere un nido di ragno è troppo emetica per essere affrontata a tavola.
E lui cena così, il culo mezzo fuori e una manica sola, ancora accaldato dalle pedalate sui rulli in camerino su cui sfoga tutta la sua furia cinetica in questi giorni di consuntivi ministeriali.
domenica 30 marzo 2025
Oggi è cambiato l’orario. Mi alzo alle 9, che sarebbero le 8.
Incrocio Carmine nell’ingresso, ha fatto tutta la notte al computer per finire il bilancio.
Ha visto due gatti litigare e sfiorarsi a velocità western senza guardarsi. Poi azzuffarsi.
Ha il viso fresco come un bambino.
Ha compiuto la sua missione dopato di caffeina e orsetti gommosi.
Ci scambiamo, lui va a letto e io mi alzo.
Domenica senza orari, con orari sbagliati, sfasati. Solo il sole. Finalmente il sole dopo giorni di pioggia.
Cammino nel bosco prima di entrare in teatro. Gli odori mi possiedono.
Alcuni alberi hanno iniziato a fiorire… ma non so come si chiamano.
O, meglio, non so come li abbiamo chiamati.
Le radiazioni del sole sono un tocco di 147 milioni di chilometri.
I miei tessuti ne assorbono solo una parte. Una parte mi attraversa. La rimanente non mi riguarda, ci ignoriamo.
Mi scaldo. Anche noi umani emettiamo radiazioni. Corpi terrestri.
Siamo stelle piccole piccole, facciamo circa 100W infrarossi con l’intera superficie del corpo.
Scaldare un po’ lo spazio, scambiare calore. Toccare a distanza.
Questi pensieri mi accompagnano tutta la mattina.
Mi immagino toccare tutto ciò che sta a qualche decina di centimetri di distanza da me, con le mie radiazioni.
Metto musica a caso e inizio a danzare come se la conoscessi benissimo.
Come se la canzone fosse una specie di oracolo, una veggenza sulla giornata di oggi.
Divinazione che va attraversata con il corpo, letta con le giunture e i loro suoni asimmetrici.
In equilibrio su una gamba il mio sguardo scorre lontano sulle pareti in mattone del teatro, traccia una linea precisa. Lo sento come un dito che percorre i muri. Sento il ruvido con gli occhi.
Mi consumo appena di qualche cellula. Il mio sguardo è un pastello a cera.
Il mio piede sinistro cerca il soffitto mentre la testa si avvicina al pavimento e la gamba destra fa centinaia di piccoli assestamenti talmente intelligenti che non potrei deciderli. Sanno tutto loro, i miei piedi danzano senza di me.
Cerco una posizione estrema. Mi innamoro di un puntino sul pavimento e lo guardo con una passione tale che potrei stare così, ribaltata e squarciata, per qualche ora.
Chissà quanto mondo si è rimescolato in quella polvere.
giovedì 10 aprile 2025
(Dal diario di Angelo)
Oggi ho incontrato Gabriel e Magica Gilly.
La mattina, prima del loro arrivo, ho sistemato il teatro.
Ad accogliermi una popolazione di cimici rinsecchite sul palcoscenico.
Pulire il palco prima dei lavori mi garantisce un certo senso di prospettiva sulla giornata a venire.
Non sapevo cosa aspettarmi dal duo, ho liberato il palcoscenico dal suo tempo espresso in polvere, segatura e insetti vaganti e le gradinate dagli oggetti di Manifesto Cannibale.
Mi rendo conto di non sapere granché su di loro. Mi documento rapidamente in rete. C’è effettivamente un sacco di roba.
So che Abracadabra, lo spettacolo che stiamo creando da un paio di anni, è un discorso intorno alla parola creatrice prima che uno spettacolo di illusionismo eppure sono abituato a tuffarmi nelle riflessioni con una preparazione parziale. Ma comunque….
In attesa del loro arrivo il palco sembrava sospettosamente sgombro.
Siamo in creazione di Abracadabra, prove di Manifesto, entrambi lavori con un potente immaginario scenico cui si poggia sopra la scrittura performativa.
Adesso così vuoto risuonano le parole che sto imparando a memoria di Francesca.
“Il coro dei corpi quasi assenti”.
O, forse ancora più calzante: “Vedete, anche se non vedete… il corpo c’è. Questa non è la sua assenza. Questa è la sua invisibilità.”
In attesa del loro arrivo gioco un po’ con questa sensazione.
Che lo spettacolo è già lì.
Se solo ci vedessi meglio, lo vedrei.
Poi decido malamente di andarmi a fare la doccia nei camerini e perdo l’arrivo di Francesca che trova semplicemente il teatro aperto e nessuno dentro.
Giusto per insistere sull’invisibile.
Arrivano.
Ci stringiamo le mani.
Le loro sono particolarmente morbide.
Se le mani riflettono il lavoro di una persona le loro mi hanno dato la sensazione di chi è abituato a lavorare con l’aria, che chiaramente le mani devono essere ultrasensibili per prendere un oggetto che prima non c’era.
Ci sediamo sulla gradinata (cioè io no, sono su una sedia che altrimenti sarebbe stato come nelle panchine al parco, ma funziona solo con chi conosci super bene).
Loro sono la Magica Gilly (nome d’arte di Giliana Fiore) e Gabriel (sospetto Fiore anche lui, però non so).
Padre e figlia.
Gli racconto chi siamo, che siamo a Mondaino per riscoprire le pratiche e decostruire la residenza come luogo iperproduttivo.
Che stiamo facendo degli esperimenti.
E che faremo un’apertura il 15.
Che devono venire, che si chiama WOW e noi sappiamo cos’è, ma il pubblico no.
Sembrano divertiti anche se forse un po’ scomodi.
Mi è venuto il timore di aver detto cose poco comprensibili, ma poi durante la chiacchierata ci siamo distesi.
Lei ha le unghie smaltate.
Smaltate bene.
Lui ha una giacca di pelle (o similpelle) che sembra super basic, ma che in realtà non lo è.
Sembrano due persone abituate a scegliere come presentarsi.
Dopo che ho blaterato per un po’, Gabriel comincia a raccontarmi la loro formazione.
Mentre racconta ha gli occhi che sfuggono da tutte le parti.
Autodidatta.
Gli piace la magia da bambino. 10 anni.
Inizia da autodidatta poi studia e pratica e diventa un pro.
È nel giro da parecchio tempo, la comunità dei maghi è una cosa seria.
Ha un festival di magia a San Marino che è internazionale e iper grosso e che sta per compiere 27 anni.
Lui dice che i fondi sono pochi e che in Francia fanno le cose meglio.
Interamente sorrido perché magari facciamo parte di circuiti differenti, ma si vede che le cose cambiano fino ad un certo punto.
Spara una serie di nomi di maghi famosi. Un bel po’ ne conosco.
Annuisco comunque a tutti cominciando a maturare una certa ansietta da prestazione.
La magica Gilly non parla molto.
È super presente nella conversazione, con espressioni chiare e comunicative, ma il padre mi racconta anche della sua formazione.
Che ha voluto iniziare lei. Ci tengono, si vede. Ci sta.
Che ha una bel po’ di numeri e ormai si esibisce più del padre.
Ha scritto due libri. Poi vado a vederli in rete. Sembrano super belli, “50 trucchi per veri illusionisti” lo vorrei in casa sicuro.
Ecco, qui su questo c’è qualcosa. Su quel “veri” illusionisti.
Gli racconto Abracadabra brevemente e forse un po’ male, in un goffo tentativo di non spoilerare niente, ma così rendendo forse le cose un po’ vaghe.
Non volevo citare numeri o magie codificate.
Poi però lo faccio lo stesso.
La questione è che la magia è una cosa seria.
Una cosa serissima.
E che mi sa che è stata un po’ bistrattata dalla popolarità.
Che adesso se sei un mago forse un po’ senti che devi difenderti da quelli che fanno finta di farlo. Che non sono dei veri illusionisti. Che si sono improvvisati, non sanno cosa fanno e poi rovinano una cosa che si regge in piedi grazie ad un’alchimia delicatissima.
Che i trucchi non si dicono. Non si fanno vedere due volte.
Non ci si fa scoprire solo perché si è un cattivo prestigiatore. Anzi un non-prestigiatore.
Perché tu che fai il numero male fai scoprire ad un’intera platea i retroscena di qualcun altro.
In questo senso vedo quanto sono diversi i nostri approcci alla scena, ma penso di capire bene il suo discorso.
Non è che non ci si può giocare con l’arte.
Mi cita diverse volte che i bambini con la manipolazione degli animali si divertono un mondo.
E mentre lo dice anche lui si illumina.
Non è che non ci si può giocare. Non è che sia una cosa seria e guai a prenderla in giro.
Ma è comunque una cosa importante.
Per chi la fa e per chi la guarda.
E questo rendere qualcosa di “inutile” super importante è un’alchimia difficile da mantenere.
Durante la chiacchierata sono partiti aneddoti e racconti di formazione.
Di quella volta con 5 numeri in fila, che alla fine ha lavorato più lui come assistente a resettare ogni volta il numero da zero.
Di quella dove le colombe sono semplicemente volate via o sono andate sul ring e poi ha dovuto prenderle con una cantinella.
O quando La Magica si è esibita nella piazza gigante da 3000 persone (che poi non ho capito se c’erano effettivamente 3000 persone, ma a me piace pensare che è andata esattamente così) e che è stato super bello.
Soprattutto trasuda il valore della comunità della magia.
Che si trovano in festival vissuti praticamente solo da maghi.
Si mostrano le cose a vicenda.
Che non ho una corrispondenza per questa cosa nel nostro mondo (e neppure voglio trovarla).
Ma mi vengono in mente le gilde, le massonerie, i gruppi segreti e allo stesso tempo pubblici, un certo amore per l’esoterismo.
Alla domanda “dove trovi le magie che fai?” la risposta è “nella comunità”.
Forse si può pure estendere.
Dove risiede la magia?
Dopo un’ora e mezza abbiamo un po’ perso il filo e il tempo.
Rinveniamo un po’ all’improvviso.
Io rinnovo gli inviti, spero che vengano a trovarci.
Mi sono chiesto più volte cosa vedranno quando vedranno WOW, ma l’unica cosa è provare e vedere cosa succede.
Il teatro torna a essere vuoto.
Io resto con quest’eco di avere per le mani qualcosa di fragile e prezioso.
lunedì 21 aprile 2025
Se puoi ballare balla.
Sono stati giorni difficili.
Giorni di assenza, immobilità, dolore.
Mi hanno fatto una piccola operazione chirurgica e il mio corpo ha preso molto male l’anestesia.
Che magia e che assurdità non sentire più niente.
Lasciarsi in balia della dissezione, delle mani ferme, del farmaco.
Mi hanno fermata a un passo dalla sala operatoria e dentro vedevo la ragazza prima di me intubata.
L’hanno svegliata urlando fortissimo il suo nome, l’hanno sgridata perché si dimenava.
Le hanno detto che se cadeva poi erano rogne e loro non avevano tempo per le rogne.
Non mi sembrava una grande idea espormi a questo spoiler.
Viene il mio turno e mi legano prima di addormentarmi. Le due braccia aperte sui supporti, la sinistra con la flebo, le due gambe aperte e sollevate legate alle tibie.
Sento l’allarme accelerare il respiro. Calmo il respiro e piano cedo all’oblio.
Tutto si mescola al mio risveglio. Mi raccontano che gridavo fortissimo aiuto.
A me sembra una reazione sana.
Continuo a dimenticare tutto. Le gambe sono percorse dalla corrente elettrica. Mi perdo e mi ritrovo in sensazioni che non hanno nomi.
Pensavo di rientrare subito all’Arboreto ma mi dicono che il mio corpo ha reagito in modo eccessivo. Mi danno altri farmaci, altre iniezioni da fare nell’addome che ormai è un mosaico di piccoli lividi a diversi stadi cromatici. Rosso, violaceo, giallo.
Cammino a fatica. La notte le gambe sono percorse da fiotti di lava ed elettricità.
Comunico a distanza con gli altri. Le lenzuola di Manifesto Cannibale appese sul palco. I loro corpi seminudi guidati dal pubblico in I x I.
La classe di yoga delle sudate alchemiche guidata da Carmine dopo la nostra lunghissima telefonata.
La vedo a distanza. La loro energia fa esplodere un faro che piove su una partecipante.
La lacrime li sfiorano ma la gioia li possiede. Finiscono in gratitudine e io sono fiera e sola.
Gloriosamente fiera, disperatamente sola.
A tratti credo di impazzire. Penso a questo corpo che mi tradisce e mi salva, mi tradisce e mi salva.
Tengo accesa una candela tutto il giorno, la fiamma mi accompagna come presenza viva.
Come un piccolo animale domestico. Qualcosa da coltivare.
Fra pochi giorni ci sarà Manifesto Cannibale. Pensavo di essere guarita a quel punto.
La mattina del giorno prima mi sveglio e un piede non si muove.
Come in Kill Bill. Chiamo l’alluce e non risponde, la caviglia è densa. Il colore brutto. Come se il piede fosse morto.
Dottore. Dottore chiama altro dottore. In tre guardano la mia gamba.
Mi mandano di urgenza al pronto soccorso. Codice arancione. Durante la giornata il piede ricomincia a muoversi. La sera lo appoggio appena. Noleggiamo una sedia rotelle e il giorno dopo sono al teatro Arena del Sole di Bologna. La scena è bellissima. La pendenza della platea rende complesso ogni spostamento… mi aiutano.
Ti accorgi in questi momenti di quanto sia incredibilmente difficile la vita delle persone con disabilità, delle artiste e degli artisti con disabilità che riescono, nonostante barriere architettoniche, economiche, sociali a lavorare in questo ambiente. Dovrebbero provare tutte le persone a stare un po’ in sedia a rotelle… soprattutto quelle che si occupano di prendere decisioni sul corpo delle altre.
Le ore avanzano e cammino a fatica, ma cammino.
Ghiaccio in camerino, iniezioni, stampelle, gamba in alto.
Alla fine faccio lo spettacolo. Come al solito sul ciglio dell’impossibile. Sempre sul filo del funambolo.
Tutto sta nello stare nella realtà. C’è sempre un possibile e l’arte può accoglierlo.
Ma servono operazioni piene di spazio per il reale.
Il mio corpo continua a tradirmi e meravigliarmi.
Non capisco. Non capisco nemmeno i medici. Ma capire forse non è la questione.
Vogliamo capire tutto e quindi appiattiamo il reale alle nostre capacità di spiegarlo e approssimiamo le sfumature ai vocaboli esistenti. Forse capire significa sempre approssimare, chiudere.
Cerco di stare nel sentire e di reagire ad esso.
È un sentire senza nomi e se mi concentro perde anche il nome di dolore. Diventa pura sensazione.
Un panorama articolatissimo che si mescola all’immaginazione.
Non sempre ci riesco.
Quando ci riesco la sensazione di pericolo, di morte, si deposita.
Mi godo tutto. Il privilegio incredibile di essere in scena come un dono.
Come un dono che ricevo e che faccio.
Vado in scena senza niente da dimostrare, solo da esistere, come dice il mio amico cantante.
Solo la necessità di rendere prezioso il tempo assieme, di creare una memoria in grado di trasformare, luccicare.
Succede qualcosa che mi viene da chiamare miracolo. Un miracolo piccolo piccolo.
Esco di scena e le persone si inginocchiano davanti a me, mi tengono le mani. Piangono.
Mi scrivono nei giorni successivi raccontandomi i loro sogni. Qualcosa è cambiato.
Torno all’Arboreto e lascio un intero giorno per assorbire quello che è successo.
Carmine fa la spesa e io e Angelo parliamo tra teatro e bosco.
La gamba destra appoggiata sul tavolo.
Angelo si alza e con gentilezza accompagna le cimici nel verde.
La notte succede di nuovo. Mi sveglio alle 4 nelle fiamme.
Lo stesso piede non si muove più.
Noleggiamo una nuova carrozzina. È tutta scassata, ha le ruote a terra e i pezzi metallici sembrano una trappola per topi pronta a scattare. Tutti vogliono giocarci. Porta sfortuna dico, ma niente da fare.
Loro non hanno paura della sfortuna.
Il giorno dopo ci raggiunge di nuovo Simone. L’atmosfera è serena e io sono molto tranquilla nonostante questi strani sintomi continuino a prendere il sopravvento.
C’è la Pasqua, il patrono di Ferrara, il ponte della liberazione e non riesco a trovare i medici quindi sono rilassata e arresa.
Mettiamo le mani su Abracadabra ed è bellissimo.
Ascoltiamo brani, registro pezzi di testo e mostriamo a Simone e Carmine la scena del lipsink di Angelo.
Se potessi ballare finirei di imbastire la coreografia invece provo a fare tutto con le parole… come nelle magie.
È un bell’esercizio e riesco a domare la frustrazione come un cane feroce addestrato.
Sta seduta accanto a me ma non attacca.
Se puoi ballare, balla. Me lo ripeto da giorni.
Ci auto-ipnotizziamo con delle bolle giganti che diventano mondi, diventano voce, spazio temporaneo, illusione di un dentro e di un fuori. Illusione di una separazione.
Il fumo che si libera dal loro interno è parola che dilaga.
Guardiamo, cangiante e temporanea, la consistenza stessa dell’aria.
Resto a bocca aperta. Penso che lo spettacolo potrebbe essere tutto così.
Forse Alessandro Sciarroni riuscirebbe a farlo.
Io no, io creo in un’accozzaglia di mille idee e per me semplificare è sempre un processo che arriva dopo tanto e a fatica.
Con le scene tagliate di ogni spettacolo se ne farebbero altri 3… ma se rimanessero lì si ucciderebbero a vicenda.
Mi convinco che tutte le cose belle che non andranno mai in scena potenzieranno silenziosamente quello che resta. Gestisco così questi piccoli lutti. Insomma, me la racconto così.
Mi godo gli ultimi giorni all’Arboreto sentendomi a casa, per quanto temporanea.
Il teatro è tutto coperto da fondale e quintatura quindi ogni volta che c’è occasione ci mettiamo a parlare sul tavolo fuori, per rinfrescarci le idee e dare loro spazio.
È fondamentale.
Spesso passano persone con sguardo interrogativo e raccontiamo del teatro… proviamo a spiegare cos’è una residenza e che questo luogo è unico. Chiacchieriamo, le invitiamo.
Mi sembra che questi incontri siano così importanti. O almeno desidero crederlo.
Una famiglia è entrata dentro mentre registravamo delle musiche. La figlia più piccola non voleva più andare via.
Magari da grande ricorderà quel momento come qualcosa a cui tornare.
Come i ballerini del lago dei cigni che ho visto quando avevo 4 anni che dormivano sulla corriera. Temo sia stata l’idea di dormire tuttə assieme sulla corriera a farmi innamorare della danza.
mercoledì 23 aprile 2025
Io che non riesco mai a dormire sono al centro del palco, rannicchiata sul fianco destro e completamente inerte. Luci tecniche, musica random, qualche insetto che mi cade accanto, Angelo e Carmine che caricano il furgone con le cose che non serviranno più. Dormo, secca.
Mi sveglio per gli scatti involontari dei muscoli.
Le ossa non sono felici della relazione con il suolo.
Fuori un temporale fortissimo sciacqua il cielo che fino a poco fa era azzurro.
La meteoropatia mi prende un po’ a calci.
Mi ingozzo con qualche pezzo rimanente dell’uovo di pasqua nella speranza che il fondente mi svegli.
Fra un’oretta arrivano le persone.
Preparo lo spazio per le sedute alchemiche. Proviamo mille soluzioni luminose e poi portiamo le lampade dell’ingresso per creare un’atmosfera casalinga, raccolta.
Siamo una decina, tuttə arrivano con il sorriso.
Riconosco chi era alle sedute alchemiche la scorsa estate, ricordo i racconti della figlia adolescente, di altri figli di amici che avrebbero potuto partecipare ad Age (il nostro spettacolo con un cast di adolescenti che è nato proprio in residenza qui lo scorso anno).
C’è anche Isabella, che non vedevo da anni e che aveva giocato con noi a cinetico4.4 nel 2012…
Era a Bologna due giorni fa a vedere Manifesto Cannibale.
L’aveva visto anche al Festival di Santarcangelo.
Insomma, lei c’è sempre stata, sono io che non la vedevo.
Do un po’ di istruzioni per la seduta: postura, respiro, gestione di eventuali insofferenze.
Chiudiamo le palpebre e ci immergiamo in un altro spazio. L’attenzione cambia grana. Il tempo cambia consistenza e con loro anche il corpo.
Diventiamo aria, nuvola, elettricità.
Mentre percorriamo la pelle il sole percorre lo spazio tra tetto e bosco illuminandoci all’improvviso come un bagno dorato.
Qualcosa di magico e minuscolo che rimane lì, in quella dimensione sotto alle palpebre.
Quando torniamo a vedere, i visi sono distesi e luccicanti.
Ci intratteniamo un po’ a parlare, raccontiamo aneddoti e retroscena.
Prezioso.
E così, ancora una volta, ringrazio il teatro, il bosco, gli incontri, questo essere assieme che trasforma e scalda.
febbraio 2025
Torniamo all’Arboreto per una lunga sessione invernale.
Non ero mai stata qui in questa stagione.
Questo luogo sa farsi amare anche senza le foglie.
Dividiamo il lavoro tra la sala teatrale (finché c’è luce) e la scrittura della domanda ministeriale (durante le tenebre).
Quello che segue è un diario non esaustivo di quei giorni, spesso travolti dal tempo dell’azione e con poco spazio per il racconto.
Andrà immaginato tutto ciò che non è detto.
Francesca
venerdì 7 febbraio 2025
La residenza inizia con la crisi.
Mettiamo le mani su Abracadabra, sul corpo che duole, sulle parole sempre un po’ sbagliate.
La creazione è in fiamme.
Abracadabra è rovente e io mi ustiono a pensarlo.
Piango quasi tutte le mie lacrime nel teatro, ieri sera.
Il giorno dopo non sono finite.
Sono andata nel bosco ad urlare.
Prendo nota un po’ a caso:
[Aspettare primavera in apnea]stare
niente da arrampicare
nessuna speranza verticale
senza tensione, senza presa
resa la fiducia nel cielo
letargo della voglia
veglia senza desiderio
solo uno spazio minuscolo
dove fare autunno
guardarsi i piedi
ingiallire piano
seccare la terra in mano
piantare nel cielo una sola foglia
figlia del fiato di un altro
respirare a lungo dalla narice sinistra
poi basta.
cammino
passi lentissimi pieni di tempo
passi soltanto per noi qui
io e tanti non umani
piante, corpi vivi e morti che fanno la terra
che fra un certo numero di passi che non so qual è
la faccio anche io la terra
cammino quella danza di passi
soltanto per noi
per noi
per noi
per noi
qui
senza la solitudine dello stare assieme senza sentirsi
senza la solitudine degli umani che non sentono
sentirsi tutte
qui
cerco un segno di questo dolore
un segno della terra in faccia
della pietra in bocca
passo attraverso un calicantus che mi fa passare
anche lei tutta rotta
le piovo un po’ addosso
sperando non si beva le mie lacrime
resto così, mescolata alla terra senza niente da dimostrare
niente promesse
nessuna bravura
niente di giusto
tutto sbagliato e perfetto
tutta storta
soltanto per noi
per noi
per noi
per noi
qui.
noi bestie, piante, sassi
restano le urla nei rami
le grida insegnate agli uccelli
lo spavento degli animali
che forse non si spaventano
i miei sono solo altri versi
la terra ascolta
assorbe e sta
questo fanno le relazioni
meteorologia degli umori
i miei pessimi umori
scambio di liquidi
quasi piove
una goccia di saliva cade su questo foglio
le labbra sono appese alla faccia
le parole appese alle labbra
anche loro cadute qui
mute
Torno sul palcoscenico svuotata, lavata e lurida.
Mi siedo e guardo oltre il fondo, quel fondale speciale che qui è bosco.
Quello è il mio fronte. Non la platea, il bosco.
Immagino tutti i corpi così: chi in scena, chi sulla gradinata, tutti a guardare fuori e basta.
natura smetti di essere sfondo
fallo con i miei occhi piccoli
piccoli piccoli occhi
minuscoli pensieri
minuscoli fori per il fuori
fatti guardare con tutti i pori
insegnami a guardare, bosco
smetti di essere utile e bella
guardami in tutto il mio orrore
in questa mia danza sconosciuta
e sbagliata agli umani
oggi sono andata nel bosco a perdere la voce
l’ho regalata al cielo
oggi sono andata nel bosco a bagnarmi gli alluci
a far leccare il mio dolore
natura nuda e spezzata
io mi ricordo i tuoi fiori gialli
i tuoi fuori
verranno i fiori
verranno fuori
verrà ancora primavera
ti guardo tutta dalla mia minuscola minuscola vita
dal tempo del mio urlo che urla
(e poi
ho chiesto scusa al bosco
ho detto grazie al bosco)
sabato 8 – mercoledì 12 febbraio 2025
Per fortuna non siamo soli.
Vengono a trovarci Stefano (un prestigiatore mentalista che è anche “il pifferaio magico d’Italia” e suona la lira antica), Alberto (il mitico scenografo di Manifesto Cannibale e Abracadabra) e il nostro Simone (qui in veste di compositore).
Le giornate passano veloci e sature.
Le relazioni mi portano fuori dalla pioggia dei primi giorni. Passiamo all’azione e l’azione è salvifica.
Non ho tempo di scrivere.
Mi entusiasmo vedendo i pensieri diventare immagini concrete e fragilissime, fatte di fumo e bolle giganti.
Con questo stiamo lavorando: la magia di qualcosa che contemporaneamente esiste e non esiste.
Con l’aria attorno alle cose.
Tra suono, voce, magia e materia cerco di far pulsare il vuoto.
Ogni tanto ci riesco e mi esalto.
È tutto difficile, ma nell’essere assieme diventa gioco e non condanna.
A tratti.
domenica 16 febbraio 2025
Ovvero: il giorno della prova aperta.
Si chiamano WOW tutte le performance che facciamo qui.
Fa parte di un formato curatoriale misterioso che abbiamo ideato per sabotare la mercificazione delle performance e invitare ad altri sguardi.
[Copio dal testo di sala:
WOW* (e altri suoni antirughe)
Misteri intatti, presenti coatti, azioni riciclate e cose appena nate
*movimento di contrazione concentrica ed eccentrica del muscolo orbicolare della branca buccale spesso ma non necessariamente associato a spasmo occipitofrontale.
concept, regia Francesca Pennini
azione e creazione CollettivO CineticO
(i nomi, per ovvie ragioni, rimangono segreti)
WOW può durare dai 15 ai 60 minuti e richiede agli spettatori un piccolo esercizio di fede perché non è dato sapere in anticipo cosa gli artisti mostreranno.
WOW è un dispositivo/contenitore applicabile a qualsiasi creazione di CollettivO CineticO, dagli spettacoli di repertorio fino alle nuove creazioni inedite. Sarà una sorpresa tutta da scoprire.
WOW è un pensiero sismico e sistemico.
È un’applicazione poetica e politica.
Per questa performance è richiesto un piccolo esercizio di fede.
Non saprete cosa state per vedere.
Non saprete cosa non avete visto.
Ci sarà un mistero da attraversare e ce ne sarà uno da lasciare intatto.
È un invito a prendersi cura del buio, del segreto.
Sacri e profani, sudati e tecnologici, epidermici e metallici, tra questi titoli segreti ci sono highlights cinetici come anche nuove creazioni inedite.]
Come “WOW”, oggi, dopo 10 anni, andrà in scena 10 Miniballetti.
C’è qualcosa che nasce e qualcosa che torna, forse per l’ultima volta.
C’è un testimone che passa di corpo in corpo e va dal passato al presente dello stesso corpo.
(Ma nessun corpo è mai lo stesso)
C’è qualcosa di quasi antico, abbastanza lontano da tornare nuovo.
Abbastanza diversi sono i miei occhi e le mie ossa.
Ero alle scuole elementari e su un quaderno scrivevo con ordine maniacale le mie coreografie.
Niente di geniale, ma tutto decisamente ossessivo e immaginifico con tanto di schemi spaziali, movimenti impossibili e corpi di ballo possibili solo nel boom economico degli anni 80… e forse solo a New York.
Non erano coreografie che facevo o sapevo fare: per me la danza era sempre improvvisazione, le coreografie le scrivevo e basta. Grafie.
Più di dieci anni fa le ho rimesse in scena e sono nati “10 miniballetti”, uno spettacolo che ha girato il mondo dal Taiwan al Sudamerica e in cui sono cresciuta, invecchiata, cambiata.
Sono nati per dare uno spazio a quel corpo immaginato, per far reagire la scrittura al fuoco del movimento.
Per fare qualcosa di difficile e delicatissimo.
Per perdere il controllo della coreografia.
Sono nati come modo per respirare assieme, per raccontare non solo della mia infanzia ma di quella possibilità di volo che hanno tutti i corpi.
Ho scelto di rimetterli in scena anche per salutarli, perché questo spettacolo è finito prima a causa del Covid, poi con una mia malattia e infine con l’incidente che mi ha frantumata.
Anche il presente però gioca pesante e non ci arrivo tutta intera.
Quando due mesi fa facevo le mie decine di verticali di forza mi sembrava tutto facile. Ora sono di nuovo rotta, di nuovo a fare i conti con le crepe.
Che avventura costante essere corpi…
Ma: i movimenti che puoi fare sono più di quelli che ti sono proibiti.
Sono potenzialmente infiniti.
E la realtà è molto più interessante della perfezione.
(Pranzo:
Mi dicono di buttare i carciofi rimasti nel bosco.
Lancio anche la terrina. Angelo scende la rupe per recuperarla.
Piccole avventure post prandiali.
Tutto risolto. )
Lo spettacolo non inizia con le luci di scena e non finisce con gli applausi.
Mi sveglio e inizio a prendermi cura dei miei pensieri, del corpo, dello spazio.
So che è tutto delicato, prezioso, fondamentale.
I respiri della mattina informeranno il fiato della sera.
Questo spettacolo è iniziato più di dieci anni fa.
Questo spettacolo è iniziato più di 30 anni fa quando ho scritto il quaderno con le coreografie che non sapevo fare.
Ci ho messo 30 anni per imparare che non imparerò mai.
Disimparare. Perdere tutto e recuperare senza mai tornare sugli stessi passi.
Sono sempre passi nuovi, incerti, principianti.
Sono molto esperta di questo principiare. Precipitare.
Abbandonare il teatro per ultima, dopo che tutti se ne sono andati, mi ha fatto sentire a casa. Ho chiuso io la porta a chiave, ho controllato che tutte le luci fossero spente, ho percorso la salita nella penombra.
Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi ci hanno portato una cesta di frutta e verdura del loro orto e una bottiglia di vino con scritto a mano “Rosso carnaza”.
Lei dice che scriverà qualcosa di questa sera.
Lui mi ripete tre volte che in scena sembravo grandissima, con un corpo enorme… invece fuori sono minuta.
Lei dice a lui che me lo ha già ripetuto sufficienti volte.
lunedì 17 febbraio 2025
Entro in teatro per prima.
Carmine non sta ancora pedalando sui rulli in camerino (dove ha allestito una postazione che lui chiama “The pain cave” e io chiamo “La ruota del criceto” e che tutte le mattine tra le 7 e le 8 ospita il suo sudore e un certo numero di puntate di Rick e Morty o Arcane).
Il cielo è ancora all’inizio dell’alba.
All’ingresso è rimasto il tappeto che avevano portato ieri per la festa… mi ricorda il tappeto della casa dei miei genitori, quello che è stato palcoscenico e parco giochi delle mie prime danze. I disegni, gli arabeschi, le cornici del tappeto diventavano geografia di passi, coreografia. Chissà se nasce da lì la mia passione grafica per la scena… l’immaginare il palco come un foglio di carta.
Oggi il palcoscenico dell’Arboreto è il mappamondo del volo di ieri. (ndr: il volo del drone che danza in 10 miniballetti generando una tempesta di piume)
Mucchi di piume sparpagliati che sconfinano ai bordi della scena, frattale bianco sul linoleum nero, traccia del moto del volo del drone che ieri ha danzato con me nel ritorno in scena di 10 miniballetti.
Non ero sola. C’era anche una cimice che ha duettato nella mia seconda danza, un ragno con me in quinta prima di entrare (mi sono promessa di non pestarlo ma poi non l’ho più rivisto), Carmine nascosto dietro alla prima quinta che abbassa il microfono con tempismo perfetto e un sacco di vita vegetale e animale attorno, appena fuori dai vetri del teatro, di cui percepivo l’abbraccio.
Spazzo le piume. Ogni gesto del braccio e della scopa che lo prolunga crea vortici e piccole turbolenze. Le piume mi seguono e poi tentano piccoli voli e tornano indietro. Attorno ai tratti rettilinei che disegno a terra si formano pattern circolari di aria resi visibili dalle piume.
Con pazienza zen passo e ripasso nello stesso punto, rallentando il movimento per entrare in risonanza con la dinamica dell’aria.
Termodinamica dei fluidi. Regime laminare e regime turbolento.
Faccio tutto in silenzio, senza musica. Gli altri giorni la musica mi accompagnava in tutti i preparativi, oggi no. Oggi qualcosa deve decantare. I pensieri fluiscono come se fossi a prendere un the con me stessa.
Questo silenzio serve a celebrare qualcosa che è appena accaduto e che vorrei restasse. A non farlo scomparire. Non subito.
Mi siedo davanti alle finestre sul cuscino da meditazione.
Il respiro oggi ha tantissimo spazio. A occhi chiusi prende la forma di una bolla gigante che cresce e cala dentro al corpo… un po’ come la bolla iridescente di Abracadabra.
Ascolto l’eco della danza di ieri.
La clavicola lussata ha reagito sopra ogni aspettativa. Le mie vertebre consumate invece non perdonano e mi parlano con il linguaggio del dolore.
Le ascolto e lo accolgo.
Ieri sera Serena (uno degli angeli custodi del teatro che si occupa di pulizie ma più in generale dell’ecologia del luogo e della sua cura) mi diceva che Carla Fracci a fine carriera danzava, sì, ma aveva qualcuno che la aiutava ad alzarsi dal letto ogni mattina.
Mi sono alzata da sola oggi.
Il corpo è più vivo del solito.
Lo spettacolo ieri non mi ha consumata, mi ha nutrita.
Non è stato lo sforzo, né gli ormoni… adrenalina, endorfine, dopamina. Quelli il giorno dopo ti lasciano vuota e buia. Non è stato nemmeno il successo, dopamina.
È stato l’amore. L’amore scambiato, il respiro assieme. Il fiatone della vita che pulsa più forte.
Mi massaggio i muscoli con il rullo vibrante in una pratica che mescola masochismo, onanismo e cura. Trovo lo psoas che urla, lo sento arrivare fino al piccolo trocantere.
Faccio spazio nei muscoli e nei pensieri.
Trovo delle musiche interessanti per Abracadabra e le mando a Simone come ispirazione.
Ascolto il “Chiaro di luna” di Isao Tomita e immagino un panorama bellissimo su un mondo già finito, ricominciato da un po’.
Forse ci sono solo intelligenze artificiali a guardare il cielo.
Un mondo che si è liberato di noi. Forse abbiamo bisogno di un’apocalisse. Non noi umani. Noi mondo.
Molto pericoloso pensare alla verità come qualcosa di singolare, univoco.
Ripenso ai primi giorni di residenza qui, al pianto assorbito dal bosco. Dov’è quella sofferenza ora? Dove sono le sue istanze? Sono vere? Sì. Sono una delle verità. Un’altra è questa gioia.
Ricevo una mail da Antonio Rinaldi.
Ieri sera l’ho visto entrare con Veronica e Brenno, sedersi accanto a Mariangela Gualtieri. Ero felice. Ho scelto di sedermi in braccio a lui come “spettatore conosciuto”. La sconosciuta invece è stata una certa Robin che è qui a lavorare in una fattoria nella formula “Home Away”.
La prima volta che ho incontrato Antonio è stato nel 2007 o 2008 per un progetto di incontro tra coreografi e videomakers.
Io ero all’inizio del mio percorso per il Premio Giovani Danz’Autori e mi avevano chiesto di mettermi a disposizione come danzatrice nella sessione al Teatro Comunale di Ferrara (dove stava iniziando la collaborazione con il teatro che è diventata una residenza stabile del collettivo qualche anno dopo e fino al 2020).
Ero l’unica “danzatrice a disposizione”.
Avevo la testa completamente rasata e un body a righe rosse e bianche.
Hanno chiesto chi voleva lavorare con me. Nessuno ha alzato la mano. Dopo una lunga pausa Antonio ha alzato la mano. Ho sempre pensato fosse un gesto di cortesia. Era stato bello. Non ricordo bene cosa abbiamo fatto ma so che aderivo ad una porta rossa.
Ci siamo ritrovati poi qui, all’Arboreto, per il premio GD’A a cui partecipavamo entrambi. Lui faceva anche il tecnico. Assieme abbiamo tirato fuori dalle scatole il tappeto danza nuovissimo su cui ho danzato anche ieri. C’era un fortissimo odore di piscina e il bianco era intonso, incalpestabile, iperuranico.
Ricordo la tappa qui: lui si spogliava nudo, apriva tutte le tende del teatro e si infilava nella lunetta della regia sopra agli spettatori. Ricordo anche che il passaggio nell’apertura sul muro ha comportato una certa dose di tribolazione con il corpo mezzo fuori e mezzo dentro alla balaustra e ci ha regalato un immaginario alla Bosch a tema “natiche pelose”.
Io avevo presentato uno studio di Eye Was Ear dove ero in scena con Jacopo Jenna che avevo conosciuto, entrambi teenagers, al Balletto di Toscana.
Alla finale poi Antonio ha fatto tutt’altro. La finale era all’Almagià di Ravenna.
Antonio indossava una maschera da supereroe e lanciava le sedie del teatro facendo una grande catasta. Nell’azione si era infortunato un dito, credo. Conoscendolo non escludo fosse parte del concept. Quella notte tra la performance e l’assegnazione del premio io non ho dormito. La mattina dopo ho vinto ma è stato disturbante. Niente di glorioso, uno strano amaro in bocca. Un amaro per cui non c’era via d’uscita. Anche quando ho vinto il premio Ubu sono stata molto triste.
Il suo spettacolo successivo me l’hanno solo raccontato. Nelle tracce della mia immaginazione lui era steso a terra in un corridoio di quinte dove il pubblico passava alla spicciolata. “Mi hanno detto che eri steso e non facevi niente” gli ho detto. “Non è vero. Ho fatto un peto.” mi ha risposto.
Credo che questo possa sintetizzare la follia e la genialità del pensiero radicale, disallineato e sovversivo di Antonio.
Oggi mi ha scritto questo, ed è arrivato dolce come un dono, tagliente come la verità:
“Nel nido c’è un altro nido.
Ieri, ho assistito ad uno spettacolo.
Ieri, dopo aver assistito allo spettacolo, ho assistito ad un incontro con gli artisti e la direzione del teatro.
Ieri, dopo l’incontro sono tornato a casa.
Prima dello spettacolo ero a casa.
Sono a casa e mi sto preparando per andare a vedere uno spettacolo.
(A me non interessa sapere cosa vado a vedere, non leggo mai la sinossi, cerco il più possibile di arrivare in stato di totale povertà davanti all’artista)
Sono in auto e mi sto dirigendo allo spettacolo e penso: sono 16 anni che conosco Francesca, tanti, molti. Sono passati tanti anni, e adesso che ci penso bene non tantissimi da quando ci siamo visti per la prima volta a Ferrara. Ricordo perfettamente il suo quaderno. Ricordo benissimo i suoi disegni, ricordo benissimo quello che pensai quella volta.
Sono in teatro e sto per entrare a vedere lo spettacolo. Incontro molti amici, gente del teatro e gente del fuori teatro. Incontro abitanti e sconosciuti. Siamo molti.
Sono dentro il teatro e mi siedo davanti. Valeria mi chiede: “dove ci sediamo?” E prima che il mio pensiero elabori una risposta la mia voce in totale autonomia dice “davanti!”.
Sono seduto davanti, a sinistra Mariangela a destra Brenno. Mi sento bene.
Francesca sbircia da dietro le quinte. Brenno mi chiede: “chi è Francesca?” E io gli rispondo “quella lì, è simpatica, dopo te la presento”. E’ lì che sbircia. “Ma non si dovrebbe sbirciare!” mi dice Brenno. Rispondo “infatti, non si dovrebbe…”. Lascio che sia lui a decidere dove mettere quello che Francesca fa, dice, e mostra. E’ un momento così bello che non mi va di contestualizzare con un indottrinamento storico da padre che ne ha viste tante, e quindi lo seguo e penso “ma perché sbircia? Non dovrebbe farlo… strano”… mi sento ancora meglio!
Inizia lo spettacolo, e nel giro di pochi minuti mi ritrovo da essere seduto a casa ad essere seduto in teatro, e nonostante il tempo in teatro sia un elemento variabile, anche lo spazio si piega e l’artista, che di solito resta in scena, è in carne ed ossa sulle mie ginocchia, leggera come una piuma, pensante come una tonnellata di piombo.
Lo spettacolo è uno spettacolo vero. Sia nella forma che nella durata. Non do giudizi. Non voglio.
Dopo aver assistito allo spettacolo, ho assistito ad un incontro con gli artisti e la direzione del teatro.
Dopo l’incontro sono tornato a casa.
Ora sono a casa, il giorno dopo e sto scrivendo questi appunti.
Nel Nido c’è un altro Nido, e tutto il senso che il teatro ha era lì, ieri sera.
Ieri ho assistito ad un miracolo, non so quanti se ne siano resi conto.
Ieri ho assistito ad un momento che mi mette in forte crisi, personale e professionale.
Ieri finalmente qualcuno ha caricato il teatro del suo più profondo senso, donare all’uomo il pensiero.
Non il sistema teatrale, che è un’altra cosa, ma il Teatro.
Non dobbiamo confondere i luoghi teatrali con il Teatro.
Ieri non sono andato in un luogo teatrale, anche se molte persone erano con me spettatrici in un luogo teatrale. Io no.
Ero a Teatro.
Il teatro o il pensiero, o il nido, dove chi nasce ritorna e di quel luogo ne fa altro nido dove altri nasceranno.”
febbraio 2025
Torniamo all’Arboreto per una lunga sessione invernale.
Non ero mai stata qui in questa stagione.
Questo luogo sa farsi amare anche senza le foglie.
Dividiamo il lavoro tra la sala teatrale (finché c’è luce) e la scrittura della domanda ministeriale (durante le tenebre).
Quello che segue è un diario non esaustivo di quei giorni, spesso travolti dal tempo dell’azione e con poco spazio per il racconto.
Andrà immaginato tutto ciò che non è detto.
Francesca
venerdì 7 febbraio 2025
La residenza inizia con la crisi.
Mettiamo le mani su Abracadabra, sul corpo che duole, sulle parole sempre un po’ sbagliate.
La creazione è in fiamme.
Abracadabra è rovente e io mi ustiono a pensarlo.
Piango quasi tutte le mie lacrime nel teatro, ieri sera.
Il giorno dopo non sono finite.
Sono andata nel bosco ad urlare.
Prendo nota un po’ a caso:
[Aspettare primavera in apnea]stare
niente da arrampicare
nessuna speranza verticale
senza tensione, senza presa
resa la fiducia nel cielo
letargo della voglia
veglia senza desiderio
solo uno spazio minuscolo
dove fare autunno
guardarsi i piedi
ingiallire piano
seccare la terra in mano
piantare nel cielo una sola foglia
figlia del fiato di un altro
respirare a lungo dalla narice sinistra
poi basta.
cammino
passi lentissimi pieni di tempo
passi soltanto per noi qui
io e tanti non umani
piante, corpi vivi e morti che fanno la terra
che fra un certo numero di passi che non so qual è
la faccio anche io la terra
cammino quella danza di passi
soltanto per noi
per noi
per noi
per noi
qui
senza la solitudine dello stare assieme senza sentirsi
senza la solitudine degli umani che non sentono
sentirsi tutte
qui
cerco un segno di questo dolore
un segno della terra in faccia
della pietra in bocca
passo attraverso un calicantus che mi fa passare
anche lei tutta rotta
le piovo un po’ addosso
sperando non si beva le mie lacrime
resto così, mescolata alla terra senza niente da dimostrare
niente promesse
nessuna bravura
niente di giusto
tutto sbagliato e perfetto
tutta storta
soltanto per noi
per noi
per noi
per noi
qui.
noi bestie, piante, sassi
restano le urla nei rami
le grida insegnate agli uccelli
lo spavento degli animali
che forse non si spaventano
i miei sono solo altri versi
la terra ascolta
assorbe e sta
questo fanno le relazioni
meteorologia degli umori
i miei pessimi umori
scambio di liquidi
quasi piove
una goccia di saliva cade su questo foglio
le labbra sono appese alla faccia
le parole appese alle labbra
anche loro cadute qui
mute
Torno sul palcoscenico svuotata, lavata e lurida.
Mi siedo e guardo oltre il fondo, quel fondale speciale che qui è bosco.
Quello è il mio fronte. Non la platea, il bosco.
Immagino tutti i corpi così: chi in scena, chi sulla gradinata, tutti a guardare fuori e basta.
natura smetti di essere sfondo
fallo con i miei occhi piccoli
piccoli piccoli occhi
minuscoli pensieri
minuscoli fori per il fuori
fatti guardare con tutti i pori
insegnami a guardare, bosco
smetti di essere utile e bella
guardami in tutto il mio orrore
in questa mia danza sconosciuta
e sbagliata agli umani
oggi sono andata nel bosco a perdere la voce
l’ho regalata al cielo
oggi sono andata nel bosco a bagnarmi gli alluci
a far leccare il mio dolore
natura nuda e spezzata
io mi ricordo i tuoi fiori gialli
i tuoi fuori
verranno i fiori
verranno fuori
verrà ancora primavera
ti guardo tutta dalla mia minuscola minuscola vita
dal tempo del mio urlo che urla
(e poi
ho chiesto scusa al bosco
ho detto grazie al bosco)
sabato 8 – mercoledì 12 febbraio 2025
Per fortuna non siamo soli.
Vengono a trovarci Stefano (un prestigiatore mentalista che è anche “il pifferaio magico d’Italia” e suona la lira antica), Alberto (il mitico scenografo di Manifesto Cannibale e Abracadabra) e il nostro Simone (qui in veste di compositore).
Le giornate passano veloci e sature.
Le relazioni mi portano fuori dalla pioggia dei primi giorni. Passiamo all’azione e l’azione è salvifica.
Non ho tempo di scrivere.
Mi entusiasmo vedendo i pensieri diventare immagini concrete e fragilissime, fatte di fumo e bolle giganti.
Con questo stiamo lavorando: la magia di qualcosa che contemporaneamente esiste e non esiste.
Con l’aria attorno alle cose.
Tra suono, voce, magia e materia cerco di far pulsare il vuoto.
Ogni tanto ci riesco e mi esalto.
È tutto difficile, ma nell’essere assieme diventa gioco e non condanna.
A tratti.
domenica 16 febbraio 2025
Ovvero: il giorno della prova aperta.
Si chiamano WOW tutte le performance che facciamo qui.
Fa parte di un formato curatoriale misterioso che abbiamo ideato per sabotare la mercificazione delle performance e invitare ad altri sguardi.
[Copio dal testo di sala:
WOW* (e altri suoni antirughe)
Misteri intatti, presenti coatti, azioni riciclate e cose appena nate
*movimento di contrazione concentrica ed eccentrica del muscolo orbicolare della branca buccale spesso ma non necessariamente associato a spasmo occipitofrontale.
concept, regia Francesca Pennini
azione e creazione CollettivO CineticO
(i nomi, per ovvie ragioni, rimangono segreti)
WOW può durare dai 15 ai 60 minuti e richiede agli spettatori un piccolo esercizio di fede perché non è dato sapere in anticipo cosa gli artisti mostreranno.
WOW è un dispositivo/contenitore applicabile a qualsiasi creazione di CollettivO CineticO, dagli spettacoli di repertorio fino alle nuove creazioni inedite. Sarà una sorpresa tutta da scoprire.
WOW è un pensiero sismico e sistemico.
È un’applicazione poetica e politica.
Per questa performance è richiesto un piccolo esercizio di fede.
Non saprete cosa state per vedere.
Non saprete cosa non avete visto.
Ci sarà un mistero da attraversare e ce ne sarà uno da lasciare intatto.
È un invito a prendersi cura del buio, del segreto.
Sacri e profani, sudati e tecnologici, epidermici e metallici, tra questi titoli segreti ci sono highlights cinetici come anche nuove creazioni inedite.]
Come “WOW”, oggi, dopo 10 anni, andrà in scena 10 Miniballetti.
C’è qualcosa che nasce e qualcosa che torna, forse per l’ultima volta.
C’è un testimone che passa di corpo in corpo e va dal passato al presente dello stesso corpo.
(Ma nessun corpo è mai lo stesso)
C’è qualcosa di quasi antico, abbastanza lontano da tornare nuovo.
Abbastanza diversi sono i miei occhi e le mie ossa.
Ero alle scuole elementari e su un quaderno scrivevo con ordine maniacale le mie coreografie.
Niente di geniale, ma tutto decisamente ossessivo e immaginifico con tanto di schemi spaziali, movimenti impossibili e corpi di ballo possibili solo nel boom economico degli anni 80… e forse solo a New York.
Non erano coreografie che facevo o sapevo fare: per me la danza era sempre improvvisazione, le coreografie le scrivevo e basta. Grafie.
Più di dieci anni fa le ho rimesse in scena e sono nati “10 miniballetti”, uno spettacolo che ha girato il mondo dal Taiwan al Sudamerica e in cui sono cresciuta, invecchiata, cambiata.
Sono nati per dare uno spazio a quel corpo immaginato, per far reagire la scrittura al fuoco del movimento.
Per fare qualcosa di difficile e delicatissimo.
Per perdere il controllo della coreografia.
Sono nati come modo per respirare assieme, per raccontare non solo della mia infanzia ma di quella possibilità di volo che hanno tutti i corpi.
Ho scelto di rimetterli in scena anche per salutarli, perché questo spettacolo è finito prima a causa del Covid, poi con una mia malattia e infine con l’incidente che mi ha frantumata.
Anche il presente però gioca pesante e non ci arrivo tutta intera.
Quando due mesi fa facevo le mie decine di verticali di forza mi sembrava tutto facile. Ora sono di nuovo rotta, di nuovo a fare i conti con le crepe.
Che avventura costante essere corpi…
Ma: i movimenti che puoi fare sono più di quelli che ti sono proibiti.
Sono potenzialmente infiniti.
E la realtà è molto più interessante della perfezione.
(Pranzo:
Mi dicono di buttare i carciofi rimasti nel bosco.
Lancio anche la terrina. Angelo scende la rupe per recuperarla.
Piccole avventure post prandiali.
Tutto risolto. )
Lo spettacolo non inizia con le luci di scena e non finisce con gli applausi.
Mi sveglio e inizio a prendermi cura dei miei pensieri, del corpo, dello spazio.
So che è tutto delicato, prezioso, fondamentale.
I respiri della mattina informeranno il fiato della sera.
Questo spettacolo è iniziato più di dieci anni fa.
Questo spettacolo è iniziato più di 30 anni fa quando ho scritto il quaderno con le coreografie che non sapevo fare.
Ci ho messo 30 anni per imparare che non imparerò mai.
Disimparare. Perdere tutto e recuperare senza mai tornare sugli stessi passi.
Sono sempre passi nuovi, incerti, principianti.
Sono molto esperta di questo principiare. Precipitare.
Abbandonare il teatro per ultima, dopo che tutti se ne sono andati, mi ha fatto sentire a casa. Ho chiuso io la porta a chiave, ho controllato che tutte le luci fossero spente, ho percorso la salita nella penombra.
Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi ci hanno portato una cesta di frutta e verdura del loro orto e una bottiglia di vino con scritto a mano “Rosso carnaza”.
Lei dice che scriverà qualcosa di questa sera.
Lui mi ripete tre volte che in scena sembravo grandissima, con un corpo enorme… invece fuori sono minuta.
Lei dice a lui che me lo ha già ripetuto sufficienti volte.
lunedì 17 febbraio 2025
Entro in teatro per prima.
Carmine non sta ancora pedalando sui rulli in camerino (dove ha allestito una postazione che lui chiama “The pain cave” e io chiamo “La ruota del criceto” e che tutte le mattine tra le 7 e le 8 ospita il suo sudore e un certo numero di puntate di Rick e Morty o Arcane).
Il cielo è ancora all’inizio dell’alba.
All’ingresso è rimasto il tappeto che avevano portato ieri per la festa… mi ricorda il tappeto della casa dei miei genitori, quello che è stato palcoscenico e parco giochi delle mie prime danze. I disegni, gli arabeschi, le cornici del tappeto diventavano geografia di passi, coreografia. Chissà se nasce da lì la mia passione grafica per la scena… l’immaginare il palco come un foglio di carta.
Oggi il palcoscenico dell’Arboreto è il mappamondo del volo di ieri. (ndr: il volo del drone che danza in 10 miniballetti generando una tempesta di piume)
Mucchi di piume sparpagliati che sconfinano ai bordi della scena, frattale bianco sul linoleum nero, traccia del moto del volo del drone che ieri ha danzato con me nel ritorno in scena di 10 miniballetti.
Non ero sola. C’era anche una cimice che ha duettato nella mia seconda danza, un ragno con me in quinta prima di entrare (mi sono promessa di non pestarlo ma poi non l’ho più rivisto), Carmine nascosto dietro alla prima quinta che abbassa il microfono con tempismo perfetto e un sacco di vita vegetale e animale attorno, appena fuori dai vetri del teatro, di cui percepivo l’abbraccio.
Spazzo le piume. Ogni gesto del braccio e della scopa che lo prolunga crea vortici e piccole turbolenze. Le piume mi seguono e poi tentano piccoli voli e tornano indietro. Attorno ai tratti rettilinei che disegno a terra si formano pattern circolari di aria resi visibili dalle piume.
Con pazienza zen passo e ripasso nello stesso punto, rallentando il movimento per entrare in risonanza con la dinamica dell’aria.
Termodinamica dei fluidi. Regime laminare e regime turbolento.
Faccio tutto in silenzio, senza musica. Gli altri giorni la musica mi accompagnava in tutti i preparativi, oggi no. Oggi qualcosa deve decantare. I pensieri fluiscono come se fossi a prendere un the con me stessa.
Questo silenzio serve a celebrare qualcosa che è appena accaduto e che vorrei restasse. A non farlo scomparire. Non subito.
Mi siedo davanti alle finestre sul cuscino da meditazione.
Il respiro oggi ha tantissimo spazio. A occhi chiusi prende la forma di una bolla gigante che cresce e cala dentro al corpo… un po’ come la bolla iridescente di Abracadabra.
Ascolto l’eco della danza di ieri.
La clavicola lussata ha reagito sopra ogni aspettativa. Le mie vertebre consumate invece non perdonano e mi parlano con il linguaggio del dolore.
Le ascolto e lo accolgo.
Ieri sera Serena (uno degli angeli custodi del teatro che si occupa di pulizie ma più in generale dell’ecologia del luogo e della sua cura) mi diceva che Carla Fracci a fine carriera danzava, sì, ma aveva qualcuno che la aiutava ad alzarsi dal letto ogni mattina.
Mi sono alzata da sola oggi.
Il corpo è più vivo del solito.
Lo spettacolo ieri non mi ha consumata, mi ha nutrita.
Non è stato lo sforzo, né gli ormoni… adrenalina, endorfine, dopamina. Quelli il giorno dopo ti lasciano vuota e buia. Non è stato nemmeno il successo, dopamina.
È stato l’amore. L’amore scambiato, il respiro assieme. Il fiatone della vita che pulsa più forte.
Mi massaggio i muscoli con il rullo vibrante in una pratica che mescola masochismo, onanismo e cura. Trovo lo psoas che urla, lo sento arrivare fino al piccolo trocantere.
Faccio spazio nei muscoli e nei pensieri.
Trovo delle musiche interessanti per Abracadabra e le mando a Simone come ispirazione.
Ascolto il “Chiaro di luna” di Isao Tomita e immagino un panorama bellissimo su un mondo già finito, ricominciato da un po’.
Forse ci sono solo intelligenze artificiali a guardare il cielo.
Un mondo che si è liberato di noi. Forse abbiamo bisogno di un’apocalisse. Non noi umani. Noi mondo.
Molto pericoloso pensare alla verità come qualcosa di singolare, univoco.
Ripenso ai primi giorni di residenza qui, al pianto assorbito dal bosco. Dov’è quella sofferenza ora? Dove sono le sue istanze? Sono vere? Sì. Sono una delle verità. Un’altra è questa gioia.
Ricevo una mail da Antonio Rinaldi.
Ieri sera l’ho visto entrare con Veronica e Brenno, sedersi accanto a Mariangela Gualtieri. Ero felice. Ho scelto di sedermi in braccio a lui come “spettatore conosciuto”. La sconosciuta invece è stata una certa Robin che è qui a lavorare in una fattoria nella formula “Home Away”.
La prima volta che ho incontrato Antonio è stato nel 2007 o 2008 per un progetto di incontro tra coreografi e videomakers.
Io ero all’inizio del mio percorso per il Premio Giovani Danz’Autori e mi avevano chiesto di mettermi a disposizione come danzatrice nella sessione al Teatro Comunale di Ferrara (dove stava iniziando la collaborazione con il teatro che è diventata una residenza stabile del collettivo qualche anno dopo e fino al 2020).
Ero l’unica “danzatrice a disposizione”.
Avevo la testa completamente rasata e un body a righe rosse e bianche.
Hanno chiesto chi voleva lavorare con me. Nessuno ha alzato la mano. Dopo una lunga pausa Antonio ha alzato la mano. Ho sempre pensato fosse un gesto di cortesia. Era stato bello. Non ricordo bene cosa abbiamo fatto ma so che aderivo ad una porta rossa.
Ci siamo ritrovati poi qui, all’Arboreto, per il premio GD’A a cui partecipavamo entrambi. Lui faceva anche il tecnico. Assieme abbiamo tirato fuori dalle scatole il tappeto danza nuovissimo su cui ho danzato anche ieri. C’era un fortissimo odore di piscina e il bianco era intonso, incalpestabile, iperuranico.
Ricordo la tappa qui: lui si spogliava nudo, apriva tutte le tende del teatro e si infilava nella lunetta della regia sopra agli spettatori. Ricordo anche che il passaggio nell’apertura sul muro ha comportato una certa dose di tribolazione con il corpo mezzo fuori e mezzo dentro alla balaustra e ci ha regalato un immaginario alla Bosch a tema “natiche pelose”.
Io avevo presentato uno studio di Eye Was Ear dove ero in scena con Jacopo Jenna che avevo conosciuto, entrambi teenagers, al Balletto di Toscana.
Alla finale poi Antonio ha fatto tutt’altro. La finale era all’Almagià di Ravenna.
Antonio indossava una maschera da supereroe e lanciava le sedie del teatro facendo una grande catasta. Nell’azione si era infortunato un dito, credo. Conoscendolo non escludo fosse parte del concept. Quella notte tra la performance e l’assegnazione del premio io non ho dormito. La mattina dopo ho vinto ma è stato disturbante. Niente di glorioso, uno strano amaro in bocca. Un amaro per cui non c’era via d’uscita. Anche quando ho vinto il premio Ubu sono stata molto triste.
Il suo spettacolo successivo me l’hanno solo raccontato. Nelle tracce della mia immaginazione lui era steso a terra in un corridoio di quinte dove il pubblico passava alla spicciolata. “Mi hanno detto che eri steso e non facevi niente” gli ho detto. “Non è vero. Ho fatto un peto.” mi ha risposto.
Credo che questo possa sintetizzare la follia e la genialità del pensiero radicale, disallineato e sovversivo di Antonio.
Oggi mi ha scritto questo, ed è arrivato dolce come un dono, tagliente come la verità:
“Nel nido c’è un altro nido.
Ieri, ho assistito ad uno spettacolo.
Ieri, dopo aver assistito allo spettacolo, ho assistito ad un incontro con gli artisti e la direzione del teatro.
Ieri, dopo l’incontro sono tornato a casa.
Prima dello spettacolo ero a casa.
Sono a casa e mi sto preparando per andare a vedere uno spettacolo.
(A me non interessa sapere cosa vado a vedere, non leggo mai la sinossi, cerco il più possibile di arrivare in stato di totale povertà davanti all’artista)
Sono in auto e mi sto dirigendo allo spettacolo e penso: sono 16 anni che conosco Francesca, tanti, molti. Sono passati tanti anni, e adesso che ci penso bene non tantissimi da quando ci siamo visti per la prima volta a Ferrara. Ricordo perfettamente il suo quaderno. Ricordo benissimo i suoi disegni, ricordo benissimo quello che pensai quella volta.
Sono in teatro e sto per entrare a vedere lo spettacolo. Incontro molti amici, gente del teatro e gente del fuori teatro. Incontro abitanti e sconosciuti. Siamo molti.
Sono dentro il teatro e mi siedo davanti. Valeria mi chiede: “dove ci sediamo?” E prima che il mio pensiero elabori una risposta la mia voce in totale autonomia dice “davanti!”.
Sono seduto davanti, a sinistra Mariangela a destra Brenno. Mi sento bene.
Francesca sbircia da dietro le quinte. Brenno mi chiede: “chi è Francesca?” E io gli rispondo “quella lì, è simpatica, dopo te la presento”. E’ lì che sbircia. “Ma non si dovrebbe sbirciare!” mi dice Brenno. Rispondo “infatti, non si dovrebbe…”. Lascio che sia lui a decidere dove mettere quello che Francesca fa, dice, e mostra. E’ un momento così bello che non mi va di contestualizzare con un indottrinamento storico da padre che ne ha viste tante, e quindi lo seguo e penso “ma perché sbircia? Non dovrebbe farlo… strano”… mi sento ancora meglio!
Inizia lo spettacolo, e nel giro di pochi minuti mi ritrovo da essere seduto a casa ad essere seduto in teatro, e nonostante il tempo in teatro sia un elemento variabile, anche lo spazio si piega e l’artista, che di solito resta in scena, è in carne ed ossa sulle mie ginocchia, leggera come una piuma, pensante come una tonnellata di piombo.
Lo spettacolo è uno spettacolo vero. Sia nella forma che nella durata. Non do giudizi. Non voglio.
Dopo aver assistito allo spettacolo, ho assistito ad un incontro con gli artisti e la direzione del teatro.
Dopo l’incontro sono tornato a casa.
Ora sono a casa, il giorno dopo e sto scrivendo questi appunti.
Nel Nido c’è un altro Nido, e tutto il senso che il teatro ha era lì, ieri sera.
Ieri ho assistito ad un miracolo, non so quanti se ne siano resi conto.
Ieri ho assistito ad un momento che mi mette in forte crisi, personale e professionale.
Ieri finalmente qualcuno ha caricato il teatro del suo più profondo senso, donare all’uomo il pensiero.
Non il sistema teatrale, che è un’altra cosa, ma il Teatro.
Non dobbiamo confondere i luoghi teatrali con il Teatro.
Ieri non sono andato in un luogo teatrale, anche se molte persone erano con me spettatrici in un luogo teatrale. Io no.
Ero a Teatro.
Il teatro o il pensiero, o il nido, dove chi nasce ritorna e di quel luogo ne fa altro nido dove altri nasceranno.”
L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino aderisce a Italy-Norway Dance Residencies, un progetto di collaborazione coordinato e sostenuto da NID Platform, MiC, PAHN_Performing Arts Hub Norway, Istituto Italiano di Cultura di Oslo e Reale Ambasciata di Norvegia a Roma.
Avviato nel 2024 come progetto pilota, l’iniziativa promuove scambi di residenze tra artisti italiani e norvegesi nel campo della danza, con l’obiettivo di favorire la collaborazione artistica tra i due Paesi. L’obiettivo è sviluppare un modello di residenza a lungo termine per le rispettive comunità, offrendo ai professionisti della danza l’opportunità di ricevere un sostegno per soggiorni di durata variabile sia in Italia che in Norvegia.
Oltre a sostenere la ricerca e lo sviluppo di nuovi lavori, il progetto favorisce il dialogo tra le due scene coreografiche, incentivando la creazione di reti professionali e promuovendo collaborazioni future.
I partner coinvolti sono, per l’Italia: Anghiari Dance Hub, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Fabbrica Europa, Fondazione I Teatri; per la Norvegia: Bærum Kulturhus – Dance in Southeast Norway, BIT Teatergarasjen, DansiT – Choreographic Center e Davvi – Centre for Performing Arts.
Il progetto proseguirà nel biennio 2026–2027. Nel frattempo, nel corso del 2024 e 2025 sono in fase di realizzazione otto residenze: quattro compagnie italiane ospitate in Norvegia e quattro compagnie norvegesi ospitate in Italia.
L’iniziativa è sostenuta dall’Istituto Italiano di Cultura di Oslo, dalla Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, dal Ministero della Cultura Italiana e da PAHN_Performing Arts Hub Norway.

Progetti realizzati e in corso di realizzazione (2024–2025)
marzo 2024
Parini Secondo (IT)
progetto HIT (Open Studio NID 2023 a Cagliari), in residenza a BIT Teatergarasjen di Bergen e del Samvirket Theatre di Dale i Sunnfjord. HIT è stato completamente sviluppato in Norvegia e successivamente portato in tournée in Italia e all’estero.
gennaio 2025
Marco D’Agostin (IT)
progetto Asteroid, in residenza a Sprang di Ål, in collaborazione con Bærum Kulturhus.
maggio 2025
Moco Movement Collective (NO)
progetto Resonans con la coreografa Stine Isachsen Knudsen e le danzatrici Camilla Apeland, Victoria Jane Harley, in residenza a Fabbrica Europa di Firenze.
settembre 2025
Nicola Galli (IT)
un progetto incentrato sul rapporto tra essere umano, paesaggio e natura, nell’ottica di una visione ecosistemica, in residenza a Bærum Kulturhus.
Mia Habib Productions (NO)
progetto Psychedelic Cave, in residenza presso L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino con percorsi di visita e di indagine nelle Grotte di Fumane (VR), Grotte di Onferno (RN), Grotte di Re Tiberio (RA).
Prova aperta: venerdì 19 settembre, ore 18.30 – Teatro Dimora di Mondaino.
La première sarà presentata al CODA Oslo International Dance Festival.
ottobre 2025
Brita Grov (NO)
progetto Curtain, in residenza a Anghiari Dance Hub.
Lisa Colette Bysheim (NO)
progetto I carry all the names I am given, in residenza a I Teatri di Reggio Emilia.
Prova aperta: venerdì 31 ottobre, ore 18.00 -Sala Verdi, Teatro Ariosto (Reggio Emilia).
Silvia Gribaudi (IT)
progetto Amazons, in residenza a DansiT Choreographic Center di Trondheim.